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6 luglio 2009 1 06 /07 /luglio /2009 18:50





Arido e inospitale (vi si registrano le più alte temperature dell’America Latina), il Gran Chaco è una porzione del Chaco Boreal, un’area vasta due volte l’Italia, addossata alle Ande e al confine fra gli attuali Paraguay, Bolivia e Argentina. È una steppa arida, simile ai deserti nordamericani dei film western, che, procedendo verso est, lascia il posto a foresta spesso molto fitta, costituita da macchie di quebracho e di erba elefante. Per molti anni, la sua economia è stata basata sull’allevamento del bestiame brado, e sul tannino estratto dal legno del quebracho per conciare le pelli. Eppure ha provocato la più sanguinosa guerra dell’America Latina.

In epoca coloniale, il Gran Chaco apparteneva alla medesima audiencia della Bolivia, e questa è la ragione per la quale La Paz, una volta ottenuta l’indipendenza da Madrid, non ha mai smesso di avanzare pretese sul territorio. Ma gli aristocratici criollos che per anni hanno guidato il Paese andino, così come gli indios Quecha dell’Altiplano, hanno niente in comune con gli indios Guarani del Chaco o coi coloni bianchi della zona. I boliviani non hanno mai vissuto nel Chaco, né hanno mai sfruttato le sue risorse. Così le pretese boliviane non andarono mai oltre qualche disputa diplomatica. Le cose si complicarono quando, nel 1884, la Bolivia, in seguito a una guerra col Cile, perse il suo accesso all’Oceano Pacifico. Oggi può sembrare incredibile, ma nella mentalità dell’epoca, l’accesso indipendente al mare era ritenuto indispensabile per un grande Paese, e la Bolivia, sentendosi erede diretta della grandeur inca, per quanto governata da un’aristocrazia spagnola con la puzza al naso, doveva riguadagnarlo. Vista l’impossibilità di spuntarla contro il Cile troppo forte, sul piano militare, La Paz si rivolse al Chaco, con l’intenzione di costruire un porto sul fiume Paraguay che la mettesse in diretto contatto con l’Atlantico. Le mire espansionistiche del Paese andino erano aiutate anche dal fatto che Asuncion aveva una sovranità più nominale che effettiva sul territorio, come si è visto praticamente disabitato e in larga parte affittato a latifondisti argentini per farvi pascolare il bestiame, con piccole comunità Mennonite impegnate a macchia di leopardo in stentate aziende agricole basate più che altro sullo sfruttamento del quebracho. Per anni, grazie anche alla mediazione dell’ex-Presidente Usa Rutheford B Hayes (molto stimato in America Latina) e del Re del Belgio, la querelle non era andata oltre la retorica nazionalista tipica dell’area e dell’epoca, c’erano stati diversi incidenti di frontiera, il più grave del quale avvenne il 25 Febbraio 1927, nel corso del quale fu ucciso un ufficiale paraguaiano, il tenente Rojas Silva, ma nulla di più.

 



La parte occidentale del Chaco, nei pressi della Cordigliera Andina.




La parte orientale del Chaco, dove la vegetazione si fa più fitta.


Un fatto venne però a mutare, nel 1928, i delicati equilibri dell’area: la scoperta del petrolio nella parte occidentale del Chaco. In realtà, l’Eldorado nero si rivelò una pia illusione, i giacimenti erano drasticamente inferiori alle aspettative e i problemi connessi all’estrazione troppo grandi per renderla competitiva (all’epoca, il petrolio costava l’equivalente attuale di un dollaro e quaranta il barile): qualcosa di simile è accaduto di recente con l’area caspica, per intenderci. Ma tanto bastò per incendiare le polveri.

I combattimenti ebbero inizio nel 1928, quando la Bolivia stabilì un avamposto sul fiume Paraguay, il cosiddetto Fortín Boquerón, per costruirvi un porto; le truppe inviate da Asuncion ebbero buon gioco nello spazzarlo via, dando così inizio a una serie di scontri di pattuglie che durarono alcuni mesi, finché la Società delle Nazioni non impose una tregua, che sarebbe durata, con qualche violazione da ambo le parti, per quattro anni. Poi, nel 1932, l'esercito boliviano al comando del presidente Daniel Salamanca attaccò una guarnigione presso il lago Pitiantuta. Le ostilità ripresero stavolta su larga scala, anche se con molte difficoltà dovute principalmente a motivi logistici: il clima ostile, paludi e foreste, assenza di strade, spesso anche di semplici tracciati nella savana, uniti alle grandi distanze da percorrere, resero il movimento delle truppe estremamente difficoltoso. Le malattie e la carenza di materiale fecero il resto, benché entrambi i belligeranti fossero determinati a combattere una guerra moderna nel senso che si dava allora al termine.




Albero di quebracho.

In un primo momento, La Paz ebbe dalla sua il vantaggio, particolarmente in aria: il Cuerpo de Aviación disponeva di una sessantina di aerei, fra i quali numerosi caccia, e diversi aerei da trasporto Junkers W.34 rapidamente convertiti in bombardieri con quattro bombe da 100 chili (due da duecento, secondo altre fonti). Il governo boliviano, inoltre, sfruttando le royalties sulle miniere di stagno e di rame, procedette a massicci acquisti di armi sul mercato inglese, soprattutto presso la Vickers, di cui era un cliente storico: carri 6-tonne, cingolette Carden-Lloyd Mk. VI, pezzi da montagna da 55 mm, mitragliatrici e caccia Vickers Type 143, acquistati in sei esemplari col nome Bolivian Scouts. Furono acquistati anche quattro Curtiss P-1 Hawks e nove Hawk II, oltre a nove assaltatori biposto Curtiss Falcon, capaci di portare ognuno quattro bombe da cinquanta libbre sotto le ali. Nel contempo, le truppe di terra furono fornire di adeguata protezione, ricevendo gli eccellenti SEMAG-Becker 20-mm in ragione di due per ogni divisione (in realtà un battaglione rinforzato).

Mentre la Bolivia poteva sperperare il denaro delle sue concessioni minerarie, il Paraguay si trovava a fare i conti con problemi economici apparentemente insormontabili: Paese povero, senza risorse minerarie, si era trovato particolarmente colpito dalla Grande Crisi. Le sue forze aeree potevano contare su diversi assaltatori Potez 25A.2 e su sette monoplani da caccia Wibault 73C.1: il Potez era essenzialmente un COIN, eccellente in questo compito, con un discreto carico bellico (200 chili), tuttavia assolutamente impossibilitato ad affrontare qualunque minaccia aerea, il secondo era stato ai suoi tempi un buon caccia, interamente metallico (una novità, negli anni Venti), ma ora assolutamente obsoleto. Come non bastasse, ad aggravare le cose, Asuncion ci aveva messo del suo, scegliendo un unico motore per entrambi i velivoli per economizzare sulla logistica. La scelta era caduta sul Lorraine-Dietrich 12Eb, un motore da 450 cavalli che si sarebbe rivelato pessimo, nel cima del Gran Chaco, rendendo quasi inutilizzabili gli aerei che lo montavano.



Cingoletta boliviana Carden-Lloyd nella boscaglia.



Obice boliviano trainato da cingoletta Carden-Lloyd.




Artiglieria, probabilmente boliviana, nello
scrub.



Curtiss Hawk II, in alto, e Vickers Type 143 Bolivian Scout.




In alto, Wibault 73C.1 Primera Escuadrilla de Caza, 2nd Lt. Juan Gonzales Doldan, Campo Grande, 1932; sotto: Potez 25A.2.

 
Vickers 6-tonne, con cannone da 47 mm.



Né le forze di terra erano in condizioni migliori: il Paraguay, fra l’altro, non disponeva di un esercito vero e proprio come la Bolivia, ma di una milizia formata su base volontaria, male armata e peggio addestrata: i primi scontri furono sostenuti più con machete e i forconi (e perfino pietre e bastoni) da contadini e vaqueros, che non con le armi, distribuite in ragione di un fucile Mauser ogni squadra di dieci uomini; se quegli scontri non si tramutarono in stragi fu solo per la migliore conoscenza del terreno che permetteva tattiche di guerriglia contro soldati andini disorientati dalla calura, oppressi dalla bassa quota e tormentati dagli insetti cui non erano abituati. Nei mesi che precedettero lo scoppio della guerra, il governo di Asuncion riuscì comunque a garantirsi un prestito segreto dall’Argentina, e una commissione civile rastrellò freneticamente le piazze europee in cerca di equipaggiamento. Ironicamente, ottennero in un certo senso risultati migliori dei loro più ricchi nemici: i boliviani sperperarono in cannoni e mitragliatrici pesanti assolutamente inutili nella boscaglia del Chaco, al contrario dei mortai Stokes-Brandt e dei fucili mitragliatori Madsen acquistati dai paraguaiani, che potevano oltretutto contare sulle munizioni fornite clandestinamente dagli argentini.

Altro errore commesso dai boliviani, fu l’eccessivo affidamento sui mercenari. In realtà, entrambi i Paesi li utilizzarono, gli aerei paraguaiani erano portati in combattimento da piloti russi (cechi e tedeschi, molti dei quali veterani della Grande Guerra, volavano la maggior parte dei velivoli boliviani), senza contare che una missione militare italiana curò l’addestramento delle forze di terra paraguaiane, ma mentre i boliviani facevano affidamento anche su alti ufficiali stranieri, il loro capo di stato maggiore, generale Hans Kundt, era un veterano tedesco della Grande Guerra, e su reparti di fanteria soprattutto cileni, i paraguaiani si avvalsero sempre e solamente di loro ufficiali, con buona conoscenza del terreno e, soprattutto, del fattore umano. Non si trattava di campesinos sprovveduti, come a prima vista si potrebbe pensare, molti di loro avevano combattuto con le truppe francesi durante la Prima Guerra Mondiale, facendo tesoro dell’esperienza. Il capo di stato maggiore paraguaiano, colonnello (poi generale, infine maresciallo) José Félix Estigarribia, seppe unire abilmente l’esperienza di quegli ufficiali con l’abilità delle loro truppe, il cui nerbo era costituito da indios Guarani, indisciplinati e apparentemente inadatti a una guerra moderna, ma profondi conoscitori del terreno; seppe sfruttare abilmente le scarse risorse umane e materiali, evitando gli assalti suicidi alle posizioni trincerate che aveva visto a Verdun pochi anni prima, ma sfruttando la conoscenza del terreno e l’armamento più idoneo, riuscì a praticare una guerra di movimento senza un fronte vero e proprio, una sorta di guerra di guerriglia che gli permise di infliggere perdite dolorose al nemico.




Mappa delle operazioni belliche.




Escadra de Caza "Los Indios", Paraguay, 1933.



Fortificazione da boscaglia del tipo usato con successo dai paraguaiani.



Uno Junkers boliviano mentre carica dei feriti.





Altri feriti in attesa di essere evacuati.





Caproni Ca.101.




Fiat Cr.20bis.



Un "fortino" del Chaco.





Nido di mitragliatrici nella giungla. Le tattiche paraguaiane si rivelarono particolarmente efficaci.

 

Soldati boliviani. Sotto: truppe paraguaiane.




Per contro, i comandi boliviani sembravano, nella descrizione di un cronista americano dell’epoca, inadatti anche a una battuta di caccia alla volpe: “si preoccupano più di sporcare le loro uniformi appena lavate che di combattere”, annotò. Gli ufficiali mancavano totalmente di senso tattico e di immaginazione, e il loro comandante Kundt, era, se possibile, anche peggiore di loro. Mentre era stato un ottimo comandante in tempo di pace, imponendo una disciplina di tipo prussiano in un esercito altrimenti carente da questo punto di vista, si rivelò un disastro totale come comandante sul campo, pur avendo combattuto sul fronte orientale durante la Grande Guerra. Sprecò migliaia di vite insistendo in inutili attacchi frontali contro posizioni trincerate, senza adeguata preparazione di artiglieria e copertura di fuoco automatico, le manovre diversive erano aliene dalla sua immaginazione, e riteneva la ricognizione aerea inutile, data la propensione degli aviatori a esagerare, a suo dire, i movimenti e le capacità del nemico. Curiosamente, gli ufficiali paraguaiani che avevano combattuto in Francia, padroneggiavano le tattiche tedesche che Kundt disdegnava. Estigarribia regolarmente insaccò le posizioni nemiche, isolandole nello scrub e costrindole alla resa: alla fine del conflitto, il Paraguay deteneva 30 mila prigionieri di guerra, contro i 3 mila della Bolivia. E i consiglieri militari russi, Belaieff ed Em, due generali bianchi fuggiti dopo la presa di potere dei bolscevichi, proposero di usare delle fortificazioni leggere nella boscaglia in funzione anti infiltrazione: costruite velocemente col legname del posto, dotate di mortai e mitragliatrici, circondate di filo spinato e di mine, avevano dato buoni risultati durante la guerra civile russa, e si rivelarono micidiali nella boscaglia del Chaco. Difficili da rilevare dall’alto e comunque poco sensibili agli attacchi aerei, interdirono efficacemente ai boliviani l’uso delle vie di comunicazione nella boscaglia.



  
Ansaldo CV.33, a fianco una Carden-Lloyd. Entrambe si rivelarono inutili nel Chaco.



La Guerra del Chaco fu, infatti, soprattutto una guerra di genieri: tracciare strade attraverso lo scrub, costruire fortificazioni, e, soprattutto, localizzare punti favorevoli alla trivellazione di pozzi artesiani, furono le attività che determinarono l’avanzamento delle operazioni belliche vere e proprie. Il territorio del Chaco era praticamente privo di acqua potabile, anche nei punti dove la vegetazione assumeva l’aspetto di una giungla impenetrabile. L’acqua indispensabile agli uomini doveva essere someggiata o trasportata con automezzi e la disponibilità di questi ultimi, o della benzina per muoverli, decideva ogni volta l’esito di un attacco o della resistenza a un attacco. Nessuno dei due belligeranti, nemmeno la relativamente ricca Bolivia, poteva affrontare l’acquisto di tutti i mezzi necessari, e l’attrito nel terreno impervio e totalmente privo di strade del Chaco, era piuttosto alto. La carenza di trasporti si fece sentire soprattutto per l’approvvigionamento di acqua, diverse unità boliviane furono costrette alla resa perché sorprese dai paraguaiani lontane dai pozzi e circondate nello scrub senza possibilità di rifornimenti. In questo tipo di guerra, l’equipaggiamento pesante si rivelò un investimento infruttuoso. I fitti cespugli spinosi dello scrub si dimostrarono troppo resistenti perfino per i cingolati, la fanteria doveva essere impiegata ad aprire la strada ai tank con machete, asce e picconi. Come non bastasse, i tanks oltretutto, dovevano muoversi con tutti i portelli aperti per le elevate temperature giornaliere (col sole a picco si superavano quasi sempre i 45 gradi all’ombra), finendo facilmente preda di qualsiasi imboscata a colpi di bombe a mano. La benzina era scarsa, e serviva quasi tutti agli autocarri che trasportavano l’acqua e riportavano i feriti e gli ammalati, spesso più i secondi dei primi data l’insalubrità dell’area.

Le forze aeree furono largamente sottoutilizzate, e, soprattutto, male utilizzate, particolarmente dai boliviani, che pure godettero di una superiorità aerea quasi totale fino ai giorni finali del conflitto. Come si è visto, la ricognizione aerea veniva largamente ignorata, così come lo fu l’interdizione del traffico nemico: se attaccate dal cielo, le lente colonne paraguaiane, spesso someggiate, avrebbero avuto vita difficile, ma, benché sorvolate in diverse occasioni, non accadde mai, così come non si fece mai nemmeno un tentativo di attaccare i ponti o i porti lungo il fiume Paraguay. Per contro, i comandanti boliviani si intestardirono a fare attaccare a volo radente i fortini costruiti a dozzine nello scrub, azioni che, oltre a rivelarsi infruttuose essendo relativamente semplice riparare strutture in legname, causarono pesanti perdite per il fuoco contraereo. Maggior successo ebbe il lancio di rifornimenti compiuto con trimotori Junkers, alle truppe boliviane circondate nel Chaco, ma i pochi aerei disponibili, mai più di quattro, potevano supplire solo qualche nastro di munizione o pochi bidoni di acqua, alle truppe intrappolate sotto il sole cocente in una landa totalmente priva di acqua potabile.

Anche il Paraguay non usò in maniera adeguata la sua forza aerea, benché i suoi caccia riuscirono a interdire abbastanza efficacemente i pochi aerei da trasporto del nemico. Ma i pur ottimi Potez vennero impiegati solo in caso di disperata necessità, temendo di perderli per il fuoco contraereo o la caccia. Anche qui ebbero più successo gli aviolanci di rifornimenti, che si rivelarono vitali durante la prima battaglia di Nanawa, nel Gennaio 1933, quando le strade allagate dalle piogge stagionali impedivano il rifornimento della guarnigione assediata dai boliviani.

Gli scontri aerei furono, invece, relativamente sporadici. La ricognizione e il supporto ravvicinato avevano la massima priorità su ogni cosa, non c’erano macchine né benzina da sprecare per l’intercettazione o la superiorità aerea. Oltre tutto, date la vastità dell’area e le relativamente poche macchine coinvolte nelle operazioni, i piloti di entrambe le parti non avevano vita facile nel cercare gli aeromobili nemici, né potevano intervenire su richiesta in caso di attacco, date le distanze dagli aeroporti e le difficoltà, vista la natura del terreno e delle comunicazioni, nel costruirne di avanzati.

Nel 1933, la situazione cominciò a cambiare. Grazie ai buoni uffici del governo argentino, Asuncion si assicurò l’assistenza di una missione militare italiana. Le forze aeree furono rapidamente riequipaggiate con 5 Fiat CR42bis e altrettanti Caproni Ca.101 da trasporto-bombardamento. Gli italiani fornirono inoltre diversi esemplari della cingoletta Ansaldo CV33, versione derivata, e migliorata, della Carden Lloyd, destinata, nelle aspettative degli strateghi del Duce, a rivoluzionare la guerra permettendo ai soldati di combattere da bordo del mezzo. In realtà, le Ansaldo ebbero impiego limitatissimo durante la guerra del Chaco, soffrivano dei medesimi difetti delle controparti boliviane, e la benzina era troppo preziosa per andare sprecata a quel modo, ogni goccia doveva finire nei serbatoi degli autocarri dei rifornimenti. Le armi italiane si rivelarono comunque preziose nella battaglia di Nanawa, la Verdun del Chaco, in realtà, come Verdun, diverse battaglie fra Gennaio e Luglio 1933. Forse l’unica mossa sensata dei boliviani nella guerra, Nanawa era in pratica la porta di Asuncion, se fosse caduta le truppe andine avrebbero conquistato la capitale nemica. La mossa sembrava a portata di mano per il generale Kundt, che confidava, oltre che nel numeri superiori, nel migliore equipaggiamento dei suoi uomini in una battaglia finalmente convenzionale. Quello che non sapeva era che l’esercito paraguaiano aveva appena ricevuto consistenti rifornimenti bellici italiani, fra i quali numerosi fucili anticarro, mine e lanciafiamme. Il risultato fu una serie di battaglie durante sei mesi, nel corso delle quali i boliviani persero fra i 4 e i 10 mila uomini senza riuscire a sfondare le difese.

Il Paraguay arrivò a penetrare il territorio boliviano catturando la fortezza di Villa Montes, nel sudest del Paese, fatto, questo, che infiammò l’opinione pubblica, spingendo alcuni politici a chiedere di marciare su La Paz, con la conseguenza di inasprire gli inetti militari boliviani, che si dichiararono pronti a schierare la Terza Armata (ne avevano già fatto massacrare due nel Chaco) per fermare l’invasione del sacro suolo nazionale. La guerra pareva destinata a protrarsi all’infinito.

Ma dietro le apparenze si celava una ben diversa realtà. Entrambi i Paesi erano esausti, sull’orlo del collasso. Le perdite ammontavano, ufficialmente, a 52397 caduti in azione (oltre a 4264 morti in prigionia e ad almeno 30000 morti per malattia, principalmente malaria, febbre gialla e dengue, contro la quale le truppe andine non avevano difese né preparazione) per la Bolivia, e ad almeno 36000 morti per il Paraguay, cifre enormi per Paesi che, alla vigilia della guerra, avevano rispettivamente 2150000 e 900000 abitanti. L’economia sostanzialmente agricola e latifondista del Paraguay, inoltre, necessitava della manodopera ora al fronte, mentre la Bolivia, benché più popolata, era anche oppressa dai debiti contratti per le spese militari. I due Paesi avevano bisogno della pace.

L’armistizio fu siglato il 14 Giugno 1935, e ratificato con la firma del cosiddetto Trattato del Chaco, a Buenos Ayres, il 23 Gennaio 1939. Entrambi i Paesi convennero di sottomettere le loro controversie a un arbitrato internazionale, che alla fine garantì al Paraguay il Chaco, lasciando come contentino alla Bolivia una piccola striscia di territorio paludoso e malarico che le permetteva di collegarsi al fiume Paraguay e di costruirvi un porto, cosa che non fu mai.

BIBLIOGRAFIA: Farcau, Bruce The Chaco War: Bolivia and Paraguay, 1932-1935 Praeger Publishers, 1996



Carro boliviano.

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15 febbraio 2009 7 15 /02 /febbraio /2009 17:49






Sotto il termine Ribellione dei Moro, vanno considerate le operazioni militari americane nel cosiddetto territorio Moro, un’area (cfr cartina) abitata da diverse etnie, i Tausug, i Maranao, i Maguindanaoan, e i Banguingui fra le principali, di religione musulmana. Il nome che i suoi abitanti davano a quell’area era in realtà Bangsamoro, dal termine malese banga, patria, ma gli spagnoli preferirono chiamarlo Moro, con riferimento alla parola spagnola che indicava in genere gli islamici.

Gli storici radicali tendono a considerare la Ribellione Moro come parte, o estensione, dell’insurrezione delle Filippine, da loro chiamata guerra Filippino Americana, ma si tratta di una realtà che va completamente scorporata dalla precedente; anche la frammentazione etnica e tribale dell’area, rende il termine ribellione impreciso, le truppe americane non si trovarono mai a fronteggiare un movimento di insurrezione unito, ma tutta una serie di azioni che vanno dalla rivolta popolare al terrorismo alla guerriglia, compiuti su base etnica, più che religiosa, e spesso estremamente localizzati sul territorio.


Il Sultano Jamal ul-Kiram,  con l'abito scuro, in una foto colorata negli anni Venti



Benché gli spagnoli abbiano colonizzato le Filippine a partire dai primi anni del XVI Secolo, ebbero sempre un controllo solo nominale sul Bagsamoro. Le etnie musulmane dell’arcipelago di Sulu e di Mindanao, resistettero fieramente a ogni tentativo di conversione al cattolicesimo. L’impervietà del territorio, isole montagnose e vulcaniche coperte di fitta vegetazione tropicale, impedirono alle truppe spagnole di spingere il loro controllo nell’interno, e si risolsero a tenere solo alcune guarnigioni costiere, dalle quali partivano occasionali spedizioni punitive verso l’interno. Soltanto nel 1876, dopo oltre tre secoli di dominio coloniale, gli spagnoli riuscirono a conquistare la città di Jolo, sede del Sultano di Sulu. Due anni dopo, le autorità coloniali e il sultano segnarono un accordo che risulta però difforme nella versione spagnola e in quella tausug (la lingua parlata dall’etnia di Sulu). Mentre nella prima si sostiene che la Spagna ha completa sovranità, nella seconda si parla di “protettorato” anziché di colonia. E nella realtà gli spagnoli non tentarono mai di imporre leggi o altre usanze alla popolazione dell’isola, limitandosi a riscuotere le tasse e a controllare il commercio, tutto il resto fu lasciato all’autorità del Sultano.


Nonostante questa discutibile “sovranità”, la Spagna non esitò a cedere i territori Bagsamoro agli Stati Uniti col Trattato di Parigi, che mise fine alla Guerra Ispano Americana del 1898. E quando le truppe americane raggiunsero le uniche due guarnigioni spagnole della zona, quella di Jolo il 18 Maggio 1899, e quella di Zamboanga il 4 Dicembre successivo, i comandanti spagnoli cedettero agli americani la “piena sovranità” del territorio, come se la avessero in effetti mai esercitata.

I problemi emersero immediatamente, anche per l’evidente disappunto manifestato dal sultano di Sulu, Jamalul Kiram II al governatore militare americano generale John C Bates: egli aveva sperato di riguadagnare piena sovranità con la partenza degli spagnoli. Così non era, ma il generale Bates aveva istruzioni di trovare un accordo col sultano per garantire agli americani la neutralità delle etnie islamiche negli scontri in corso in altre parti dell’arcipelago. Alla fine fu siglato un accordo, il cosiddetto Bates Treaty, che conteneva però la medesima imperfezione di quello spagnolo: il testo inglese parlava di colonia, quello tausug di protettorato. E, benché sulla carta il trattato garantisse piena sovranità agli americani, esso fu criticato duramente in patria perché assicurava troppa autonomia al Sultano; in particolare era permesso di praticare la schiavitù, cosa che fece sorgere più di qualche critica. Bates, molto onestamente, ammise che il trattato era un mero espediente, siglato solo nell’attesa che l’insurrezione al nord fosse stroncata e le truppe potessero essere dispiegate al sud.


Hadji Butu Abdul Bagui, consiugliere del Sultano di Sulu. Personaggio carismatico e moderato, cercò l'accordo con gli americani che garantivano la libertà di culto, a differenza dei cattolici filippini e spagnoli


Bates era un militare, non un politico, e non si rese conto di alcuni problemi insiti nella natura del trattato. In teoria, il sultano di Sulu era la massima autorità riconosciuta nel Bagsamoro, ma il sultanato di Maguindanao era indipendente e autonomo, e riconosceva la supremazia di quello di Sulu solo in materia religiosa e di relazioni internazionali, ma non di politica interna. Non solo: in realtà, il sultano di Sulu aveva meno potere di ciascuno dei maggiori datto (capi tribù) dell’arcipelago, ed essi non erano stati inclusi nel negoziato, e, in pratica non lo riconobbero.

Problemi peggiori a Mindanao: il distretto del lago Lanao, fu diviso fra oltre duecento datto, mentre l’area di Catabato era sotto il controllo di uno solo di loro, Ali. Altri, oltre al sultano di Sulu e quello di Maguindanao, approfittarono del vuoto di potere lasciato dagli spagnoli: 32 autoproclamati sultani avanzavano richieste sulla base dell’uti possidetis.

Il Trattato comunque garantì la neutralità Bangsamoro nell’insurrezione delle Filippine (in molti casi, anzi, i datto furono lieti di fornire scout e ausiliari contro gli odiati cattolici che li avevano perseguitati per secoli). Le forze americane nell’area vennero organizzate nel Distretto Militare di Mindanao-Jolo, al comando del generale Bates. Le sue forze erano esigue, giusto due reggimenti di fanteria, che garantivano solo la messa in sicurezza del quartier generale di Zamboanga e il territorio circostante, non certo l’intera area teoricamente assegnata.


2 Gennaio 1900: Hadji Butu Abdul Bagui (secondo da sinistra, in piedi), accanto al governatore americano di Sulu, maggiore Owen J Sweet.

Il 20 Marzo 1900, Bates fu avvicendato dal generale William A Kobbe, e il Distretto di Mindanao-Jolo fu elevato al rango di Comando regionale. Le truppe furono rinforzate dall’arrivo di un terzo reggimento, e diverse città, fra le quali Jolo, furono presidiate da una guarnigione americana, che costrinse gli insorti filippini (cattolici, l’area non era interamente islamizzata) a ripiegare sulle montagne. Kobbe si impegnò anche nella lotta alla pirateria (benché le navi americane non venissero assalite per via di un tacito accordo), e allo schiavismo, praticata da alcuni datto musulmani che da essi ricavano grossi profitti.


Tre datto di Sulu, 1899

Alcuni non meglio identificati fuorilegge (secondo la dizione americana dell’epoca, outlaws) attaccarono avamposti americani, in alcuni casi usando kamikaze ante litteram chiamati juramentados: dallo spagnolo juramentar, prestare giuramento. A differenza dei malesi amok, che uccidevano sia musulmani che indù o cristiani, i juramentados attaccavano solo i cristiani al grido "La ilaha il-la'l-lahu", c’è un solo dio, e, benché non votati al suicidio, proibito dal Corano, cercavano la loro parang sabil (via del paradiso) uccidendo più nemici possibile anche a prezzo della loro vita, come succedeva regolarmente quando attaccavano un distaccamento militare dotato di armi da fuoco. Addestrati intensamente per la missione che dovevano compiere, imbottiti di droghe e armati solo di qualche coltellaccio da giungla, non esitavano a lanciarsi urlando contro le colonne americane, riuscendo a uccidere anche due o tre soldati prima di venire abbattuti. Sembravano insensibili alle pallottole, continuavano ad avanzare benché coperti di ferite, spesso il loro apparire faceva scappare i soldati più inesperti. La Colt .45 M1911, pare, fu creata su specifica dello US Army che voleva un’arma in grado di fermare uno di questi ossessi con un solo colpo.

Kobbe ordinò quindi che le milizie dei datto fossero disarmate, ma la priorità alla lotta agli insorti filippini (cattolici), rinviò l’esecuzione del progetto.

I guerriglieri filippini nell’area erano comandati da un certo generale Capistrano, che si arrese agli americani il 27 Marzo 1901, dopo che questi ultimi (con l’aiuto dei musulmani) gli avevano fatto la terra bruciata intorno. Pochi giorni dopo, Emilio Aguinaldo veniva catturato a Luzon, mettendo fine alla fase forse più cruciale dell’insurrezione, che di fatto perse di intensità, permettendo agli americani di inviare truppe al sud, dove iniziarono la lotta ai datto ribelli che non avevano messo fine alla schiavitù e alla pirateria.



Il comando americano a Jolo

Il 13 Agosto 1901, Kobbe fu avvicendato dal generale George W Davis, che adottò una condotta più soft del suo predessore, pur continuando la lotta alla pirateria e alla schiavitù. Furono stabiliti contatti più pacifici con quei datto che accettavano il controllo americano, e le loro forze non vennero più disarmate come aveva fatto Kobbe.

Uno degli ufficiali di Davis, il capitano John J Pershing, (avrebbe comandato le truppe americane in Europa nella Prima Guerra Mondiale, guadagnando il soprannome di Black Jack), assegnato alla guarnigione di Iligan, riuscì a stabilire buone relazioni con le popolazioni di etnia Malano sulle rive settentrionali del lago Lanao, e quindi con l’ex sultano di Madaya, Ahmai Manibilang. Personaggio di grande influenza, benché deposto dagli spagnoli pochi anni prima, la sua amicizia assicurò agli americani il controllo dell’area.


John Joseph "Black Jack" Pershing

Non tutti gli ufficiali di Davis avevano le capacità diplomatiche e umane di Pershing, purtroppo. Diversi veterani delle guerre indiane, riversarono sui Moro il principio guida delle campagne contro i pellerossa (il solo indiano buono è quello morto), e coniarono il neologismo “civilizziamo i Moros con un Krag (dal nome del Krag-Jørgensen, che nelle versioni fucile e carabina era arma standard dello US Army. I cecchini lo avrebbero usato fino alla Seconda Guerra Mondiale per la sua precisione). Il risultato fu tre imboscate sanguinose contro truppe americane al di fuori dell’area di influenza di Manibilang, più una serie di attacchi portati dai juramentados, che spinse il governatore militare delle Filippine, generale Adna R Chaffee, a ordinare, il 13 Aprile 1902, ai datto la consegna dei responsabili.

Una spedizione punitiva fu guidata da un esaltato col grado di colonnello, Frank S Baldwin, che attaccò a testa bassa una sorta di fortino Moro in quella che è conosciuta come battaglia di Pandapatan o Bayan, rimediando 18 morti in pochi minuti di scontro. Il giorno dopo Baldwin tornò all’attacco e riuscì a irrompere coi suoi soldati nella fortificazione, dove seguì un massacro spaventoso, dovuto al fanatismo dei Moro e al fatto che essi portavano con sé mogli e figli nelle fortificazioni, chiamate localmente pandita.


Il massacro di Bud Dajo

Baldwin acquartierò le sue forze un miglio a sud di Pandapatan, e Davis gli assegnò Pershing come G2 e responsabile delle relazioni coi Moro, garantendogli una sorta di veto sulle azioni del pur superiore di grado Baldwin. La decisione si rivelò provvidenziale poco tempo dopo, bloccando Baldwin che voleva attaccare le fortificazioni costruite dai sopravvissuti di Pandapatan a Bacalod. Pershing lo avvertì che così facendo si rischiava di creare un forte sentimento anti americano in tutte le popolazioni circostanti, mentre l’interesse americano era di isolare la minoranza ostile. Baldwin dovette obbedire, ma chiese di essere avvicendato per non vedersi scavalcato da un semplice capitano.


Moros della regione del Lago Lanao, circa 1900

Il 4 Luglio 1902, il Presidente Theodore Roosevelt proclamò la fine delle ostilità nelle Filippine, "eccetto nell’area abitata dalle tribù Moro, dove il cessate il fuoco non sarà applicato”, benché Pershing, fedele alla sua politica di buon vicinato coi Moro, invitò oltre 700 indigeni di religione musulmana a festeggiare coi suoi ufficiali la fine delle ostilità. Quello stesso mese, Davis fu promosso e rimpiazzò Chaffee come governatore militare dell’arcipelago, e il suo posto come comandante della regione di Mindanao-Jolo fu preso deal generale Samuel S Summer.



Moros della regione del Lago Lanao con soldati americani, 1900


Nel Settembre 1902, Pershing poté guidare la spedizione contro la tribù ribelle Macui, che si risolse in un totale successo grazie alla collaborazione dei datto coi quali aveva stabilito rapporti amichevoli. E il 10 Febbraio 1903 Sajiduciaman, sultano dei Bayan, un tempo ostile agli americani e sconfitto nella battaglia di Pandapatan, dichiarò Pershing datto, l’unico americano a ricevere questo onore. La cosa non fu priva di risvolti semi comici. Quando, in Aprile e Maggio 1903, Pershing guidò una nuova spedizione, nota come la marcia attorno il lago Lanao, che culminò nelle importanti battaglie di Bacolod e di Taraca, nel corso delle quali gli americani ottennero la resa delle ultime etnie ostili dell’area: alcuni Moro ostili si avvinarono alla colonna del maggiore Robert L Bullard, che seguiva le truppe di Pershing a un giorno di marcia, dichiarando che, giacché Pershing era un juramentado, essi dovevano marciare con la bandiera bianca per dimostrare che non erano in guerra con lui, mentre in un’altra occasione, un datto locale propose a Bullard un’alleanza per scalzare Pershing dalle sua posizione e guadagnare prestigio e comando sull’intera area del lago Lanao.


Moro Tausug a bordo di una nave da guerra americana, 1900

Il 3 giugno 1903 fu creata la Provincia Moro, che comprendeva “tutti i territori delle Filippine a sud dell’ottavo parallelo esclusa l’isola di Palawan e la parte nordorientale della penisola di Mindanao”. Benché la provincia avesse un governo civile, molte posizioni, compreso quella di governatore e dei suoi vice, erano occupate da militari. Le ragioni erano diverse, e fra queste l’ostilità dei Moro era solo una e nemmeno la più importante. La verità era che i capi Moro, col loro sistema di concezione feudale, non si sarebbero mai sottomessi a un civile, né avrebbero rispettato un soldato sottomesso a dei civili.


Ribelli Moro, 1904

La provincia fu divisa in cinque distretti: Cotabato, Davao, Lanao, Sulu, e Zamboanga, a loro volta frammentate in numerose circoscrizioni su base tribale, ognuna delle quali era diretta da un datto con compiti di governatore e da alcuni datto minori come vice governatori, rappresentanti della legge e capi della milizia. Il sistema aveva il vantaggio di cooptare la struttura della società Moro, basata su legami parenterali, preparando però contemporaneamente la strada per una società di tipo democratico occidentale, dove fosse la carica, e non la persona, a governare.

Il 6 Agosto 1903, il generale Leonard K Wood, fu nominato governatore del Dipartimento di Mindanao-Jolo. Costui, si sentiva personalmente offeso dal feudalesimo tipico della società Moro, dalla pratica della schiavitù e della poligamia. Per di più si trovava a fronteggiare seri problemi con la sua carriera militare, in quanto il grado di Maggiore Generale era obiettivo di una violenta disputa al parte del Senato degli Stati Uniti, cui all’epoca spettava il compito di riconoscere le promozioni dei militari di grado superiore. La necessità di dimostrare la sua bravura di comandante, unita alle sue idee personali, lo portarono a stroncare con eccessiva durezza dispute minori che avrebbero potuto essere risolte con un minimo di diplomazia alla Pershing. Il suo periodo in carica corrisponde con la fase più cruenta della Ribellione dei Moro, anche se gli va riconosciuto l’indubbio merito di avere gettato le basi della pacificazione dell’area..

Wood, come governatore, promulgò numerose riforme.


• Dietro sua raccomandazione, adducendo il pretesto dei continui attacchi pirateschi (mai diretti a naviglio americano, peraltro) e occasionali attacchi di juramentados, gli Stati Uniti abrogarono unilateralmente il Trattato Bates,. Il sultano di Sulu fu retrocesso al rango di capo religioso, con meno potere di numerosi datto suoi sottoposti; il governo degli Stati Uniti gli riconobbe uno stipendio come “cappellano islamico”, e il controllo sul Bangsamoro fu assunto direttamente dal governatore militare americano.

• La schiavitù fu abolita. Wood annunciò che ogni schiavo era “libero di lasciare il proprio padrone e di costruire una casa per sé ovunque desiderasse” e fu garantita protezione militare per ogni schiavo liberato che avesse voluto farlo. Simili azioni erano già state intraprese in passato da comandanti locali, ma solo dopo aver raggiunto un accordo coi datto locali, che Wood invece scavalcò d’autorità.

• Il codice civile Bangsamoro fu modificato. Durante la dominazione spagnola, i Moro sistemavano le loro questioni legali secondo i loro usi e costumi, la legge spagnola interveniva solo nel caso che una delle parti fosse cristiana, il che portava a una sorta di doppia legislazione per cui un Moro che uccideva un cristiano rischiava la forca, ma se uccideva un altro Moro se la cavava pagando una multa alla famiglia dell’ucciso. Wood tentò di modificare la consuetudine, ma essa tropo radicata nel costume locale, e aveva troppe varianti etniche, senza contare che l’ultima parola sperava al datto locale. Wood tentò di imporre il codice penale filippino, a sua volta ispirato alle leggi americane, ma l’attuazione della misura si dimostrò quanto mai difficile e impopolare.

• Fu introdotta la proprietà privata, soprattutto per aiutare gli schiavi liberati. Ogni famiglia ricevette 40 acri (circa 16 ettari) di terra da coltivare. I datto ricevettero maggiori appezzamenti in ordine al loro stato sociale, e il commercio dei terreni era sottoposto al controllo del governatore per prevenire frodi e ricatti.

• Venne varato anche un sistema scolastico. Nel Giugno del 1904 c’erano già 50 scuole con una media di 30 studenti per ciascuna. A causa della difficoltà di trovare insegnanti madrelingua, le classi venivano tenute in inglese, e gli insegnanti, spesso di etnie non locali, anche se musulmani, venivano istruiti in quella lingua. Molti Moro guardarono con sospetto a quella creazione, ma altri fornirono gli edifici per le scuole.

• Fu inoltre incoraggiato il commercio, combattendo la pirateria e il banditismo che ne erano i principali nemici. Il relativo benessere che ne derivò, sia ai datto locali che ai commercianti che alla popolazione che poteva disporre di beni di consumo prima sconosciuti o rari (e quindi costosissimi), portò a una minore opposizione della presenza americana.



Armi catturate ai Moro


D’altronde Wood agì maldestramente sul piano militare. Sul finire del 1903 tentò di replicare le spedizioni di Pershing nella regione di Lanao, ma fu costretto ad abbandonare per l’ostilità degli ex alleati e per fronteggiare la rivolta di Hassan, potente datto dell’isola di Jolo. Subito dopo, Wood dovette combattere la rivolta del datto Ali, che aveva ignorato il decreto antischiavitù e fatto massacrare dai juramentados diversi soldati americani. La caccia all’uomo durò oltre due anni, culminando nelle battaglie di Siranaya e di Malalag, che sconfissero definitivamente Ali di cui non si seppe più nulla. Nel corso di questa campagna, vi fu la battaglia di Bud (monte, in lingua tausug) Dajo, nel corso della quale, fra il 5 e il 7 Marzo 1906, circa 1000 uomini, donne e bambini Moro che avevano trovato rifugio in un cratere vulcanico, furono massacrati dalle truppe americane. Benché fosse una vittoria di indubbia potenza sul movimento Moro, fu anche un disastro dal punto di vista delle pubbliche relazioni, soprattutto in patria, dove la propaganda radicale, guidata dalla American Anti-Imperialist Imperialist League di Mark Twain e Andrew Carnegie, parlò apertamente di comportamento criminale.


Il 1 Febbraio 1906, il generale Tasker H Bliss, rimpiazzò Wood come comandante del Dipartimento di Mindanao-Jolo. Bliss fece un primo tentativo accomodante nei confronti dei Moro, evitando di guidare spedizioni punitive contro i ribelli, anche al costo di lasciare fuori controllo tutte le aree che non erano presidiate da militari americani, che, d’altronde, proprio in quel periodo, svilupparono una tattica ben congegnata per impedire gli attacchi dei juramentados. Il morto veniva avvolto in una pelle di maiale e spesso irrorato di alcol (un peccato sprecare così del buon bourbon, ricorda l’ammiraglio Daniel P Mannix, allora semplice tenente, ma serviva eccome!), così da non poter raggiungere il paradiso (chissà, forse funzionerebbe anche oggi, nda).

L’11 Novembre 1909, John J Pershing, diventato generale, assunse l’incarico di governatore militare della provincia Moro. Fu il terzo, e l’ultimo, militare a occupare la carica. Come governatore, varò diverse riforme.

• Pershing distaccò i Philippine Scouts e i Philippine Constabulary, fino a quel momento usati come ausiliari dalle truppe americane, in piccoli distaccamenti nell’interno, affidandogli compiti di controllo del territorio tipici di una miliazia rurale. Ciò portò a una riduzione del banditismo e della pirateria che permise lo sviluppo dell’agricoltura e del commercio, migliorando la situazione economica della popolazione.

• Semplificò il sistema legale, espandendo la giurisdizione dei tribunali locali, su base etnica, ai quali veniva affiancato un procuratore americano. La riforma fu accolta con simpatia dai Moro, perché era semplice, veloce (il complicato sistema americano importato e imposto da Wood obbligava ad attendere fino a due anni per ottenere una sentenza anche per la più semplice delle dispute), e, fondamentalmente, rispettava i loro usi e costumi.

• Permise la costruzione di moschee.

• Accettò l'uso di servitù in cambio di vitto, alloggio e protezione, purché il servo non fosse costretto a quella pratica, che per gli americani era schiavitù.

• I contratti di lavoro furono riformati per venire incontro ai costumi locali. I Moro, assolutamente ignari dei costumi e delle nozioni occidentali di lavoro, erano portati all’assenteismo, più che altro per motivi familiari (feste, compleanni e altro per partecipare ai quali non chiedevano nessuna autorizzazione al datore di lavoro).

• Le misure adottate da Pershing portarono a una notevole espansione dell’economia. I tre principali prodotti della regione, la copra, la canapa e il legname pregiato delle foreste tropicali, raddoppiarono il volume di affari nei primi tre anni, e i Moro iniziarono a depositare soldi in banca per la prima volta nella loro storia.

• Furono create stazioni di commercio situate anche all’interno, dove i Moro potevano vendere i loro prodotti non deperibili e acquistare generi a prezzo controllato, prevenendo così per la prima volta nella storia delle isole le speculazioni condotte solitamente dai commercianti di etnia cinese o comunque cattolici nei momenti di crisi.


Moro Constabulary (anche nella foto sotto)


Il controllo dell’ordine pubblico si rivelò di più difficile attuazione, il banditismo essendo parte della cultura locale da secoli. Pershing attese che il Genio terminasse di costruire le strade di cui aveva necessità per far muovere le truppe e le forze di polizia che avrebbero protetto la popolazione, quindi ne ordinò il disarmo, dopo aver convocato una riunione di tutti i datto locali, molti dei quali si trovarono d’accordo con lui. Il commercio aveva portato un benessere fino allora sconosciuto, e la parte più progressista dei datto era d’accordo che il banditismo andasse combattuto anche se ciò costava la rinuncia a una vecchia tradizione locale.



La resistenza al disarmo fu tuttavia molto forte, soprattutto nel distretto di Jolo, e portò alla seconda battaglia di Bud Dajo (che Pershing gestì con maggiore tatto della precedente, pur sterminando senza troppa misericordia i ribelli), e in quella di Bud Bagsaak (11-15 Giugno 1913), che Pershing guidò personalmente e portò all’uccisione di 2000 combattenti Moro (oltre a 196 donne e 340 bambini). Fu l’ultima battaglia combattuta nel Bangsamoro.

Pershing, ora poteva passare la mano ai civili, pur col paerere contrario di Washington. Avendo compreso a fondo la cultura locale, si era reso conto che un’amministrazione civile sarebbe stata bene accetta ai Moro, che stimavano e rispettavano i militari in quanto combattenti,ma al contempo trovavano incomprensibili i loro continui avvicendamenti. Per i loro costumi individualistici e basati sui legami familiari, un cambio di amministrazione significava anche un cambio di regime, cosa che li gettava nello sconforto assoluto. Per questa ragione, e battendosi duramente, Pershing chiese — e ottenne — governatori civili che rimanessero però in carica il più a lungo possibile. Nel Dicembre di quello stesso anno, la transizione all’amministrazione civile fu completata quando Pershing fu rimpiazzato da un civile, il governatore Frank J Carpenter.



La ribellione dei moro poteva dirsi conclusa.

Le perdite da parte americana non furono particolarmente pesanti, i caduti in azione in tutto ammontarono a 130, con 323 feriti, mentre altri 500 militari morirono di malattia, principalmente colera e febbre gialla. I Philippine Scouts dovettero lamentare 116 caduti e 189 feriti in azione, mentre i Philippine Constabulary ebbero perdite più pesanti, dato il loro impiego nella lotta al banditismo: 727 morti e 1200 feriti. Non si conoscono le perdite fra i Moro, che sono comunque stimate fra i 10 e i 20000 (i soliti radicali isterici portano il totale a mezzo milione, ma quella era la popolazione totale dell’area all’inizio della Ribellione), con un numero sconosciuto di feriti.

Dulcis in fundo, negli anni Trenta, quando appariva ormai chiaro che gli Stati Uniti avrebbero concesso l’indipendenza alle Filippine, una delegazione Moro, guidata dal sultano di Sulu, si recò a Washington per chiedere di rimanere sotto protettorato americano, giacché le autorità civili statunitensi garantivano il diritto di culto e alcune tradizioni locali, cosa che i politici filippini, provenienti dalle file più fondamentaliste della "fede" cattolica, non parevano intenzionati a fare.

La Ribellione dei Moro divenne anche soggetto di un film, non molto rispettoso dei particolari storici (si vedono guerriglieri islamici affaccendati a seppellire al collo nei formicai prigionieri americani perché siano spolpati vivi dalle formiche, ma quella era una pratica seguita dai buoni guerriglieri cristiani; i musulmani trattarono sempre dignitosamente i propri prigionieri americani, i maltrattamenti furono sporadici e non è segnalata tortura) e credo inedito in Italia, The Real Glory, diretto da Henry Hathaway nel 1939, starring Gary Cooper.



BIBLIOGRAFIA:

• Mythe, Donald. Guerrilla Warrior: The Early Life of John J. Pershing
• Vandiver, Frank E. Black Jack: The Life and Times of John J. Pershing.













Lo stemma del Quarto Reggimento di Cavalleria americano ricorda la battaglia di Bud Dajo: un vulcano verde e un kris, pugnale locale, sovrastato dalla sciabola gialla della cavalleria americana

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15 febbraio 2009 7 15 /02 /febbraio /2009 14:17

L’Insurrezione delle Filippine, che alcuni storici definiscono la Guerra Filippino-Americana, insanguinò l’arcipelago asiatico negli anni fra il 1898 e il 1902, con uno strascico fino al 1913.


Tutto iniziò il 7 Luglio 1892, quando Andrés Bonifacio, massone e impiegato postale di Manila, fondò il Katipunan (Kataas-taasang, Kagalang-galangang Katipunan ng mga Anak ng Bayan, Suprema e molto onorevole società dei figli della nazione, in tagalog) con lo scopo di portare le isole all’indipendenza dal dominio coloniale spagnolo e instaurarvi un governo di tipo liberalsocialista. Il Katipunan guadagnò rapidamente consensi, portando a una prima insurrezione contro gli spagnoli nel 1896. Leader politico carismatico ma al contempo estremamente sprovveduto e pessimo comandante militare, Bonifacio fu sconfitto dagli spagnoli nella battaglia di San Juan del Monte, oggi quartiere di Manila, e il suo posto preso, dopo un processo sommario e una altrettanto frettolosa esecuzione, da Emilio Aguinaldo.

Personaggio ambiguo e di non facile decifrazione, Aguinaldo era un tipico rappresentante della élite borghese cinese (il 10 per cento della popolazione dell’arcipelago è originario del sud della Cina). Collaborò con gli americani e infine coi giapponesi, e si salvò dal capestro, a fine guerra, solo perché riconosciuto insano di mente. La sua presa di potere ha, in effetti, i connotati del colpo di stato, il modo sbrigativo e privo di scrupoli con cui si liberò di Bonifacio contiene il tòpos del caudillo sudamericano, la sua crudeltà (secondo alcune fonti, peraltro mai confermate, fece impalare Bonifacio) è da signore della guerra, e i suoi metodi spregiudicati e tipicamente stalinisti (accusò l’avversario di essersi impossessato di fondi, in realtà temeva che una repubblica indipendente guidata dal socialisteggiante impiegato postale avrebbe privato la borghesia, di cui era espressione, di importanti privilegi).


Nell’Agosto 1897, il governatore generale della corona, Fernando Primo de Rivera, intavolò una trattativa segreta con Aguinaldo, il quale accosentì ad abbandonare la lotta armata e ad andare in esilio a Hong Kong intascando la modica somma di 800 mila dollari (dell’epoca!). Aguinaldo lasciò le Filippine nel Dicembre successivo e tramite la stampa della colonia britannica condannò pubblicamente la rivoluzione filippina ed esortò, quanti ancora combattevano a deporre le armi. Appello inascoltato, ma la rivolta senza il suo capo militare migliore (le doti militari di Aguinaldo erano indubbie, la sua caratura morale è un’altra discussione) languì.

Il 15 Febbraio 1898 l’incrociatore americano Maine esplose misteriosamente mentre era all’ancora all’Avana, nella allora colonia spagnola di Cuba. L’incidente, mai completamente chiarito (nel 1950 si stabilì che aveva cause naturali, ma che non possono escludere un sabotaggio), portò alla guerra Ispano-Americana, e Aguinaldo fece ritorno nelle Filippine con la squadra dell’ammiraglio Thomas Dewey, salpata proprio da Hong Kong il 25 Aprile. Secondo quanto da lui dichiarato, Aguinaldo combatté con le truppe americane sbarcate a Manila, mentre secondo altre fonti se ne rimase al sicuro nelle navi americane alla fonda nella rada.

Il 12 Giugno Aguinaldo dichiarò l’indipendenza delle Filippine, secondo alcune fonti sempre da bordo di una nave americana in rada a Manila, città che fu conquistata dalle truppe americane il 13 Agosto successivo, dopo che il governatore generale Fermin Jaudenes si era accordato con l’ammiraglio Dewey e con il generale Wesley Merritt. Agli irregolari filippini non fu permesso di entrare in città nel timore che si abbandonassero a violenze contro gli spagnoli. Nonostante gli accordi di pace di Parigi, siglati il 10 Dicembre 1898, concedessero le Filippine agli USA in cambio di un’indennità di 20 milioni di dollari, Aguinaldo proclamò la Repubblica delle Filippine e fu eletto primo e unico presidente di essa in maniera assai discutibile (votò meno dell’uno per cento della popolazione delle isole, e i Moro, e altre etnie musulmane del sud, rifiutarono in blocco la Repubblica ritenuta ostile in quanto Aguinaldo era cattolico fervente).



La notte del 4 Febbraio 1899 un soldato filippino fu ucciso da una sentinella americana in circostanze mai completamente chiarite. Le proteste della popolazione furono represse duramente dalle truppe americane guidate dal generale Arthur Mac Arthur (padre di Douglas, il vincitore del Giappone), che uccisero 2000 persone. Aguinaldo fuggì sulle montagne a nord di Manila e lasciò il compito di contrastare gli americani al suo migliore generale, Antonio Luna. Fece anche stilare una sorta di dichiarazione di guerra che fu affissa dappertutto e recitava più o meno come segue:

Ordino e comando
1) che gli americani siano trattati come nemici, nei limiti previsti dalle leggi di guerra
2) che gli americani catturati siano trattati come prigionieri di guerra
3) che il congresso ordini e accordi la sospensioni delle garanzie costituzionali
4) che copia di questa sia consegnata al console americano.



Soldati filippini nei pressi di Manila


Il 2 Giugno 1899 il Congresso filippino dichiarò guerra agli Stati Uniti, ma questi ultimi non la riconobbero mai come tale, così come non avevano mai riconosciuto Emilio Aguinaldo presidente, ritenendone l’operato illegittimo e frutto di elezioni non rispettose della volontà popolare. Aguinaldo in effetti non era particolarmente amato, benché una retorica nazionalista sorta negli anni Cinquanta quando gli USA si rifiutarono di far pressione sul Giappone perché pagasse i danni di guerra, lo hanno presentato come una sorta di Garibaldi locale. Si sapeva dei soldi intascati per andare a Hong Kong e del suo rimanersene nascosto sulle navi americane per tutta la durata dei combattimenti, nonché la sua fuga al primo sparare delle armi americane. Forse Emilio Aguinaldo era stato un tempo un valoroso combattente, ora non lo era più. E montava la popolarità del generale Luna, che contrastò efficacemente le truppe americane pur essendo inferiore di uomini e potenza di fuoco.


Utah Volunteer Light Artillery in azione nei pressi di Manila, ca. 1899


E Aguinaldo assassinò anche Luna, tre giorni dopo la dichiarazione di guerra. Lo attirò in una località remota, lontano dai suoi soldati, e lo fece uccidere dai suoi sicari (secondo alcune fonti fu impalato pure lui, dopo il taglio dei genitali che gli furono conficcati in bocca). Aguinaldo pur condannando pubblicamente il delitto non fece mai nulla per arrestarne i responsabili, anche perché questi avrebbero sicuramente rivelato il loro mandante.

Gli americani sembrano esser stati presi in contropiede dall’insurrezione filippina, tuttavia i loro comandanti sul posto reagirono ad essa energicamente. Alla fine di Febbraio 1899 Manila era tornata completamente sotto il loro controllo, e gli insorti sbandati o costretti a ritirarsi sulle montagne. Il 23 Aprile gli americani batterono duramente i filippini, guidati dal pur valido generale Gregorio del Pilar, nella battaglia di Quingua. In Giugno, come abbiamo visto, fu ucciso il generale Luna, capace e popolare comandante, ma fu in seguito alla pesante disfatta patita al ponte di Zapote il 13 Giugno successivo, che i filippini capirono di non poter affrontare le truppe americane in campo aperto anche quando superiori di numero (a Zapote, erano il doppio degli americani), e quindi si convertirono alla guerriglia, decisione che la perdita anche di Gregorio del Pilar, caduto nella battaglia del passo di Tirad (2 Dicembre 1899), fu avvertita come l’unica percorribile anche da Aguinaldo, contrario a usare questa tecnica che, riteneva, avrebbe portato solo sofferenze inutili ai civili. Secondo i suoi critici invece, era convinto che avrebbe causato danno ai suoi amici latifondisti della borghesia cino filippina e alla chiesa cattolica, proprietaria parimenti di vasti appezzamenti di terreno a mezzadria.


Fifth Oregon Volunteers, zona di Manila, ca. 1900




Infatti gli americani per combattere la guerriglia ricorsero a tecniche già conosciute e collaudate: deportazione dei contadini dalle aree infette e loro concentrazione all’interno di villaggi fortificati dove poteva esserne controllata l’attività, distruzione dei raccolti, delle mandrie, dei sistemi di irrigazione, sempre mantenendo costante la pressione militare sulla guerriglia: a fronte di un corpo di guerriglieri valutabile fra gli 80 e i 100 mila uomini, male armati e peggio equipaggiati, l’Esercito americano schierò fino a 74 mila uomini con armamento pesante (al quale sono da aggiungere i distaccamenti dello US Marine Corps che scendevano dalle navi quando necessario, non essendone all’epoca previsto l’impiego estensivo che se ne fa oggi), oltre a un corpo di ausiliari filippini reclutati fra le etnie non cinesi e musulmane e gli strati più poveri della popolazione che arrivò a comprendere oltre 250 mila uomini.



Marinai sul ponte dell'incrociatore USS Olympia (C-6) in azione nelle acque filippine durante la guerra


In aggiunta a questo, gli americani ricorsero a rastrellamenti continui e capillari delle aree dove veniva segnalata attività insurrezionale, interrogando spesso pesantemente i sospetti. La tortura dell’acqua, per fare un esempio, benché ufficialmente condannata dai comandanti americani come il generale Elwell Otis e il citato Mac Arthur, veniva comunemente praticata dai Philippine Constabulary, una sorta di milizia di polizia armata e addestrata dagli americani, assieme a una primo, rudimentale uso della corrente elettrica per infliggere elettroshocks. A questo, i filippini risposero trucidando diversi prigionieri americani, si parla di soldati ritrovati bruciati vivi, crocifissi, impalati, sepolti al collo dentro formicai e fatti spolpare vivi dalle voraci formiche tropicali, mutilati di occhi, lingua, genitali e sale sparso sulle ferite (vi sono stati anche casi di prigionieri americani trattati correttamente, comunque, a due di essi fu chiesto di fare da padrini di battesimo di un comandante guerrigliero locale ai quali entrambi poi regalò un orologio). Atrocità chiama atrocità, gli americani iniziarono ad abbattere i filippini che si arrendevano con un colpo alla nuca (spesso dopo avergli tagliato i genitali e averglieli infilati in bocca), diversi scout presero l’abitudine di scotennare gli avversari e portare gli scalpi appesi alla cintura, ci furono fucilazioni di massa, alcuni villaggi vennero incendiati senza permettere agli abitanti di prendere il minimo dalle capanne, in almeno un caso un bambino fu infilzato nella baionetta da un volontario del First Nebraska (all’epoca i reparti americani erano formati su base regionale), senza contare che le navi da battaglia della Marina spesso bombardavano indiscriminatamente dal largo le aree dove veniva segnalata attività insurrezionale.


Caduti filippini nei pressi di Manila


Una serie di rovesci militari, nel 1900, portò il presidente Mac Kinley a valutare l’opzione del ritiro delle truppe dalle Filippine, anche per la pressione esercitata dalla American Anti-Imperialist League, guidata da Mark Twain e Andrew Carnegie, che si opponeva con forza all’annessione dell’arcipelago, e non smetteva di ripetere che gli Stati Uniti mai e poi mai dovevano divenire una potenza coloniale, ma solo garantire l’autodeterminazione al popolo filippino. Altri, come il Senatore della South Carolina Benjamin Tillman, si opponevano con vigore all’annessione dell’arcipelago nel timore che esso avrebbe rovesciato una valanga di non-bianchi negli USA. Queste, e altre posizioni di contrasto alla guerra, avevano dalla loro l’opinione pubblica per nulla soddisfatta dall’andamento delle operazioni militari, e in un anno di elezioni il Presidente in carica non poteva non tenerne conto.


Sentinelle americane nei pressi di San Juan,  periferia di Manila

Sul campo, e al di là delle sconfitte dovute a reparti poco addestrati e peggio comandati, le cose non andavano poi così male. La popolazione civile filippina era allo stremo, e l’eterogenea armada di Aguinaldo stava perdendo il collante che la teneva assieme. L’indignazione per il comportamento delle truppe americane, non poteva far dimenticare che la società proposta da Aguinaldo e dai suoi, era una variante moderna del feudalesimo, una Repubblica cioè, retta dagli ilustrados e dai principales, un’oligarchia formata da capi locali, latifondisti e uomini d’affari. I brevi contatti pacifici con le truppe americane, avevano fatto scoprire al popolo filippino l’esistenza di una società più egalitaria di quella propugnata dagli ilustrados e dai principales. La variopinta frammentazione etnica, tribale e religiosa dell’arcipelago aveva fatto il resto. Morti Luna e del Pilar, Aguinaldo, con un passato pesantemente compromesso e un presente altrettanto discutibile, si trovò privato degli uomini migliori per tenere unito il suo esercito, che cominciò così a sfaldarsi, avendo scoperto, quegli umili contadini, di non voler morire per una nuova servitù della gleba. Le diserzioni aumentarono, mente le truppe americane e gli ausiliari filippini incalzavano sempre più da vicino Aguinaldo, che venne infine catturato dalle truppe del generale Frederick Funston il 23 Marzo 1901 dopo che gli scout ne avevano scoperto il covo nei pressi di Palanan, un villaggio nella valle del fiume Cagayan, nella parte nord orientale di Luzon.


Soldati americani e civili filippini


Esistono varie versioni della sua cattura, una di queste pretende che Aguinaldo trattò la sua resa agli americani, e per salvare la faccia inscenò una cattura nel corso della quale furono uccise le sue guardie del corpo, secondo un’altra versione fu scoperto da scout filippini di religione islamica che lo odiavano in quanto cattolico fervente, secondo una terza versione, gli scout erano di etnia Ibanag, oppositori storici sia dei cinesi che dei Tagalog alla base delle formazioni militari di Aguinaldo, pur essendo cattolici come loro, una quarta propugna che furono gli abilissimi scout americani che avevano tracciato Geronimo non molti anni prima a mettergli il sale sulla coda (e in effetti le truppe migliori nella controguerriglia si rivelarono quelle che avevano già combattuto contro i pellerossa negli anni precedenti), anche se agli storici appare più semplice e probabile che Aguinaldo sia stato denunciato dalla popolazione civile stremata dai continui rastrellamenti americani, terrorizzata dai bombardamenti navali, affamata dal blocco costiero e dalla distruzione delle risaie nonché dall’abbattimento degli animali domestici.
Il 1 Aprile 1901, nel palazzo di Malacañang, a Manila, Aguinaldo giurò fedeltà alla Costituzione e alle leggi degli Stati Uniti, e annunciò pubblicamente la fine della rivoluzione filippina, invitando i suoi seguaci ancora liberi a deporre alle armi e a consegnarsi agli americani. “In questi mesi passati sulle montagne”, disse, davanti ai giornalisti, “ho capito che l’unica cosa che porta la guerra è distruzione e sofferenza per il popolo, sofferenza e distruzione che devono cessare quindi per il bene tutto del popolo filippino”.



Mitragliatrice Gatling in azione nei pressi di Pasay, 1900

La cattura di Aguinaldo pur infliggendo un severo colpo alla guerriglia filippina, non portò alla cessazione delle ostilità. Il generale Miguel Malvar assunse il comando delle operazioni e affrontò gli americani in campo aperto attaccando diversi centri abitati nella regione di Batangas. Nell’isola di Samar, il generale Vincente Lukban continuò la guerra con altrettanta determinazione, la stessa che misero gli americani, nello stroncarla, agli ordini di un energico veterano delle guerre indiane, il generale James Franklin Bell. Egli, guidando personalmente sul campo i suoi uomini, ingaggiò una feroce lotta senza quartiere contro i guerriglieri filippini, incalzandoli senza sosta, privandoli dell’appoggio popolare con la terra bruciata, il blocco navale delle coste che impediva ogni commercio e perfino la pesca, e i continui, incessanti rastrellamenti affidati agli ausiliari filippini scelti nelle etnie antagoniste di quelle della zona di operazioni.


Soldati del Fifth Idaho Volunteers osservano dei caduti filippini nella valle del fiume Cagayan, circa 1900

Malvar si arrese a una pattuglia americana il 13 Aprile 1902, assieme agli ultimi tremila uomini che gli erano rimasti (tutti gli altri erano stati uccisi o avevano disertato o erano stati catturati, quasi sempre su segnalazione della popolazione civile esausta per la guerra).

Fu il colpo di grazia all’insurrezione. Dopo Malvar numerosi altri capi guerriglieri si arresero coi loro uomini dietro promessa, fatta da Bell, che ci sarebbe stata un’amnistia per tutti, o scomparvero nel nulla, come il citato Lukban. Il 2 Luglio 1902 il Segretario della Guerra poté dichiarare terminata l’insurrezione, e due giorni dopo, Theodore Roosevelt, successo nella carica presidenziale a MacKinley, assassinato un anno prima, proclamò l’amnistia per tutti coloro che avevano preso parte alle ostilità.





1st Nebraska Volunteers in azione a San Juan del Monte, 5 Febbraio 1899

Secondo alcuni storici di corrente radicale, i combattimenti continuarono fino al 1913 e citano al proposito migliaia di scontri e rese di reparti ribelli. In realtà molti reparti di guerriglieri dopo la resa o la cattura dei loro capi principali sbandarono e si diedero al brigantaggio. Un reparto agli ordini di un certo colonnello Simeon Ola, implorò gli americani di essere preso prigioniero per venire sfamato, il 25 Settembre 1903. Rimasti isolati nella impervia regione di Bicol, si erano nutriti per mesi con radici e bacche e della rara selvaggina edibile che potevano prendere con le trappole e i lacci, avendo esaurito le munizioni delle armi da fuoco, e, alla vista dei soldati americani si erano gettati letteralmente ai loro piedi.


Diverso il caso di Macario Sakay, che si proclamò generalissimo nel sud dell’isola di Luzon, e tentò di fondare la Repubblica Katalugan, basata cioè sui principi originari Katipunan, chiamando a sé diversi sostenitori fra i contadini impoveriti dalla guerra e attratti dal suo sogno socialisteggiante. Dopo alcuni anni di guerriglia nella zona, fu catturato e impiccato dagli americani nel 1907, e il suo movimento sbandato.


1st Idaho Volunteers a San Pedro de Macati, 1900

Per qualche anno proliferarono anche alcuni gruppi religiosi, formati pure questi da poveri contadini e sorretti da fervore messianico: i pulajanes, i colorum, i Dios-Dios, e altri, che affrontavano le Maxims dei soldati americani a mani nude, spesso sotto effetto di droghe e comunque convinti che le immagini della Madonna e gli agimat e gli anting-anting (amuleti religiosi tribali) che portavano con sé, li avrebbero protetti dalle pallottole. Erano guidati da leaders carismatici, uno dei quali, Dionisio Seguela, detto Papa Isio, sarebbe diventato famoso anche negli USA. Catturato da una pattuglia americana che era convinto di poter convertire con la sola forza del suo sguardo, morì in carcere nel 1911.


Soldati del 14° Fanteria di linea, in azione a Pasay, 5 Febbraio 1899

Una a una queste bande furono spazzate dalle truppe americane o dai Philippine Constabulary cui gli americani lasciavano sempre più i compiti militari meno impegnativi. Le ultime azioni da parte di una banda di fanatici religiosi, sono segnalate nel Marzo 1913, e quella data viene considerata comunque la cessazione dell’insurrezione delle Filippine.

La guerra ufficiale, quella finita il 4 Luglio 1902, provocò la morte di 4196 soldati americani, 1020 dei quali per effettiva azione nemica, gli altri per malattia, principalmente febbre gialla, tifo tropicale e colera. 2930 uomini furono feriti, mentre i Philippine Constabulary lamentarono oltre 2000 caduti in azione e almeno 10 mila feriti. I ribelli uccisi furono almeno 16000 (secondo alcune fonti, peraltro scarsamente attendibili, si arriva a 150000). I civili morti per colpa della guerra, furono almeno 250000 (un milione, secondo fonti radicali, contando anche una violenta epidemia di colera che imperversò nell’arcipelago per tutta la durata delle ostilità, dovuta anche all’impoverimento delle condizioni di vita seguita ai continui rastrellamenti e al blocco navale americano). E questo senza tener conto della ribellione dei Moro del sud, del quale parleremo un’altra volta.


Artiglieria americana in azione a Pasay, 5 Febbraio 1899
























L’insurrezione delle Filippine è ricordata nel monumento al Corpo dei Marines e da due decorazioni, la Philippine Campaign Medal e la Philippine Congressional Medal.












































BIBLIOGRAFIA: Brian McAllister. The Philippine War 1899-1902. University Press of Kansas 2000



























Permettetemi di chiudere con una chicca, la poesia scritta da Rudyard Kipling pare proprio per celebrare le truppe americane che combattevano nelle Filippine.

The White Man's Burden

Take up the White Man's burden--
Send forth the best ye breed--
Go bind your sons to exile
To serve your captives' need;
To wait in heavy harness,
On fluttered folk and wild--
Your new-caught, sullen peoples,
Half-devil and half-child.

Take up the White Man's burden--
In patience to abide,
To veil the threat of terror
And check the show of pride;
By open speech and simple,
An hundred times made plain
To seek another's profit,
And work another's gain.

Take up the White Man's burden--
The savage wars of peace--
Fill full the mouth of Famine
And bid the sickness cease;
And when your goal is nearest
The end for others sought,
Watch sloth and heathen Folly
Bring all your hopes to naught.

Take up the White Man's burden--
No tawdry rule of kings,
But toil of serf and sweeper--
The tale of common things.
The ports ye shall not enter,
The roads ye shall not tread,
Go make them with your living,
And mark them with your dead.

Take up the White Man's burden--
And reap his old reward:
The blame of those ye better,
The hate of those ye guard--
The cry of hosts ye humour
(Ah, slowly!) toward the light
"Why brought he us from bondage,
Our loved Egyptian night?"

Take up the White Man's burden--
Ye dare not stoop to less--
Nor call too loud on Freedom
To cloak your weariness;
By all ye cry or whisper,
By all ye leave or do,
The silent, sullen peoples
Shall weigh your gods and you.

Take up the White Man's burden--
Have done with childish days--
The lightly proferred laurel,
The easy, ungrudged praise.
Comes now, to search your manhood
Through all the thankless years
Cold, edged with dear-bought wisdom,
The judgment of your peers.





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