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6 luglio 2009 1 06 /07 /luglio /2009 18:41

Nell'estate del 1970, c'erano oltre 450 prigionieri di guerra americani detenuti nel Nord Vietnam, alcuni da più di sei anni, il più lungo periodo di cattività per qualsiasi POW americano. Per di più i rapporti dell’intelligence descrivevano condizioni di detenzione disumane per la fame, la carenza di assistenza medica e, soprattutto, le continue, sistematiche, brutali torture praticate al fine di estorcere dichiarazioni di condanna della politica americana nel Sudest asiatico. I prigionieri si trovavano sparpagliati in una costellazione di piccoli campi nella parte settentrionale del Nord Vietnam, fra Hanoi e i confini del Laos e della Cina.

Il raid a Son Tay fu un’operazione in tre fasi che iniziò il 10 Giugno 1970, quando il generale Earl G Wheeler, capo di Stato Maggiore del Pentagono, autorizzò un gruppo ristretto di lavoro, Polar Circle, a studiare la fattibilità di una incursione nel territorio nemico per soccorrere i prigionieri. Nel Maggio del 1970, le foto dei ricognitori rivelarono l'esistenza di due campi di prigionia a ovest di Hanoi: in quello di Son Tay, 40 chilometri lontano dalla capitale nordvietnamita, fu identificata una enorme K (nel codice dei piloti USAF "veniteci a prendere") disegnata nel terreno, mentre nell'altro campo, Ap Lo, cinquanta chilometri a ovest di Hanoi, le foto mostravano le lettere SAR (per Search and Rescue) disegnate col bucato dei prigionieri, e una freccia col numero 8, indicante la distanza gli uomini dovevano percorrere verso le risaie dove erano costretti a lavorare.




Le immagini raccolte dagli SR71 rivelarono che Son Tay era attivo: il campo era all'aperto, circondato da risaie, ma nelle vicinanze si trovavano la 12a Armata Nordvietnamita, forte di 12.000 uomini, un centro di addestramento dell'artiglieria, scuole militari, un deposito militare e diverse unità contraeree. A rendere le cose più difficili, la base aerea di Phuc Yen era lontana solo trenta chilometri. Sembrava fossero in corso dei lavori di ampliamento delle strutture probabilmente per ospitare altri prigionieri - e guardie.

Il campo vero e proprio era piuttosto piccolo e coperto alla visuale da alberi alti una decina di metri. C'erano solo una linea telefonica (aerea) ed elettrica. I POWs erano ristretti in quattro ampi edifici nel recinto principale, circondati da un muro alto due metri con tre torri di osservazione. Solo un elicottero avrebbe potuto prendere terra all'interno di quel recinto, gli altri avrebbero dovuto eseguire il touchdown al di fuori di esso. Il tempo complicava ulteriormente il problema, le piogge del monsone avrebbero impedito il raid fino ad autunno.

La National Security Agency monitorò per diversi mesi la difesa aerea dell'area utilizzando fra gli altri drones Buffalo Hunters per valutare i tempi di reazione e captare le frequenze di trasmissione da disturbare, mentre gli SR71 si occupavano della ricognizione fotografica. In Luglio, le foto mostrarono attività inferiore alle aspettative, che diventò decisamente nulla a partire dal 3 Ottobre. Mentre Dong Hoi, venticinque chilometri est di Son Tay, era in piena attività. Cosa stava succedendo? Forse i nordisti si erano accorti dell'attenzione americana per il campo e avevano spostato i prigionieri?

Nel frattempo era iniziata a seconda fase dell'operazione. L'8 Agosto 1970, l'ammiraglio Thomas H Moorer, nuovo JCS, designò il generale dell'Air Force LeRoy J Manor come responsabile dell’operazione, e il colonnello Arthur D "Bull" Simons come ufficiale esecutivo. La fase di pianificazione e addestramento della missione, denominata Ivory Coast, fu condotta all’interno della Eglin Air Force Base, Florida con uno staff di 27 uomini.




Ryan Firebee Buffalo Hunter, uno dei primi RPVs.

Simons reclutò 103 volontari fra il personale delle Special Forces (dizione che all’epoca riguardava i soli Green Berets) del Sesto e Settimo Gruppo di Fort Bragg, North Carolina, e mosse con essi verso Eglin. La squadra avrebbe operato sotto il vago titolo di Joint Contingency Task Group (JCTG).

Lo staff stabilì come parametri prioritari per la missione, notturna, tempo sereno, quarto di luna a 35 gradi sull'orizzonte e visibilità eccellente. Furono quindi identificate due finestre di missione: 21-25 Ottobre e 21-25 Novembre. Per l'addestramento fu montata a Eglin una copia in scala 1:1 del campo di Son Tay (che veniva smontata ogni giorno prima del sorgere del sole perché i satelliti spia sovietici non la rilevassero) e un plastico chiamato Barbara per familiarizzare con la struttura. I piloti volarono 1054 ore in 170 missioni di addestramento notturno.




Il generale Manor e il colonnello Simons si incontrarono col comandante della Task Force 77, Ammiraglio Frederick A Bardshar, per mettere a punto con la Marina una diversione che distraesse le forze comuniste durante il raid. Il 24 Settembre, Manor riferì al Segretario alla Difesa Melvin R Laird che il JCTG era pronto per la finestra di Ottobre, ma dopo un incontro alla Casa Bianca col consigliere per la sicurezza Henry A Kissinger, si decise di spostare la missione alla finestra successiva. Il ritardo, pur essendo potenzialmente compromettente per la sicurezza dell'operazione, permetteva tuttavia un maggiore addestramento, e una ulteriore ricognizione sul bersaglio. Fra il 10 e il 17 Novembre successivi, il JCTG mosse in Thailandia, dove cominciò a studiare la missione sul campo. Il tifone Patsy, di passagio in quel periodo, avrebbe causato maltempo per tutta la durata della finestra, ma le condizioni avrebbero potuto essere eccellenti il 20.



La Central Intelligence avvertì che a Son Tay non c'erano più prigionieri, erano stati spostati altrove, ma né i militari né i politici credettero alla Compagnia e il 18 Novembre, il Presidente Richard M Nixon approvò la missione. 56 uomini delle Special Forces vennero selezionati per il raid e raggiunsero la Udon Royal Thai Air Force Base, dalla quale sarebbero partiti. E solo a quel punto seppero esattamente cosa dovevano fare (fino a quel momento si erano addestrati "alla cieca")"Stiamo andando a soccorrere 70 prigionieri di guerra americani, forse più, detenuti in un campo in una località chiamata Son Tay", disse Simons. "Questo è il minimo che qualsiasi prigioniero di guerra americano abbia diritto ad aspettarsi dai suoi commilitoni. Il campo si trova 23 miglia a ovest di Hanoi".

Simons aveva ancora qualcosa da dire. "Andiamo a liberare prigionieri, non a diventarne. Se succede un casino, se sanno che stiamo arrivando, non c'è via di lasciare il Vietnam del Nord a meno che voi non vi siate fatti cucire un paio d'ali sulla schiena. Saremo dalla parte sbagliata del mondo per fare una ritirata strategica o anche solo per scappare a gambe levate. Se c'è una crepa nella sicurezza, non ce lo telefoneranno da Hanoi, lo scopriremo solo quando il secondo o il terzo elicottero saranno atterrati, solo allora ci faranno il culo. Se accade, dobbiamo restare uniti, attestarci sul Song Con (un fiume vicino il campo, nda) e lasciarli venire verso noi attraverso le maledette risaie. E fargli pagare caro ogni dannato metro che faranno per venirci a scannare".




Barbara.


I Green Berets, guidati da un team command and control denominato Gear Box, sarebbero stati organizzati in tre gruppi: Blueboy, con 14 uomini incaricati di assaltare la prigione; Greenleaf, 22 Green Berets guidati da Bull Simons che dovevano far saltare il muro di cinta del carcere e fornire fuoco di copertura agli uomini al suo interno, e Redwine, 20 uomini col compito di coprire i due precedenti gruppi da arrivi improvvisi di truppe comuniste dalla strada per Hanoi.

I 56 commandos avevano ciascuno in dotazione una radio, ed erano pesantemente armati: una pistola a testa, solitamente una versione speciale della .44 o della .357 Magnum, 48 Colt CAR15, 2 M16, 4 lanciagranate M79, 2 trench guns, 4 mitragliatrici M60, oltre a 15 mine Claymore, 11 cariche da demolizione, 213 bombe a mano e tutto il necessario per tagliare cavi, reticolati e abbattere porte.




105 velivoli di vario genere (59 Navy e 46 Air Force) parteciparono all’operazione, 29 dei quali ebbero un ruolo diretto nell'operazione. Vediamoli in dettaglio:

2 MC130 Combat Talon, radio call Cherry 01 e 02 del 7th SOS (1st SOW) come C3 (Gear Box volava su Cherry 01) e illuminazione
1 HC130P, radio call Lime 01 del 1st SOW come tanker per gli elicotteri
5 HH53 Super Jolly, radio call Apple 01-05, del 40th ARRS (3rd ARRG) per il trasporto
1 HH3 Jolly Green, radio call Banana 01, del 37th[sup] ARRS (3[sup]rd ARRG) come trasporto d'assalto
5 A1E Fatface, radio call Peach 01-05, del 1st SOS (56th SOW) per il CAS
10 F4E Phantom II, radio call Falcon 01-10, del 1st SOS (56th SOW) per MIG CAP
5 F105G Wild Weasel, radio call Firebird 01-05, del 6010th WWS (388th TFW), per la soppressione antiaerea





MC-130 Combat Talon.

Alle 2325L del 20 Novembre, gli elicotteri lasciarono la loro base in Thailandia e diressero verso l'obiettivo attraverso il territorio del Laos. Appena passata mezzanotte, gli A1 Sandies e i Combat Talons decollarono dalla Nakhon Phanom Royal Thai Air Force Base. Alle 0123L, mentre la piccola armada era ormai in vista del campo, la Navy lanciò un pesante attacco contro la città portuale di Haiphong: gli aerei, lanciati dalle portaerei Oriskany, Ranger, e Hancock scatenarono il caos necessario come diversione per il raid in corso.





Quasi niente andò per il verso giusto: Banana 01 del maggiore Herb Kalen ebbe problemi a prendere terra all'interno del campo col suo gruppo d'assalto Blueboy. Gli alberi che lo circondavano erano parecchio più alti dei 10 metri stimati, almeno trenta secondo il pilota. "Passammo attraverso quei figli di puttana come un gigantesco taglia erba, tutto vibrava, tenevamo le dita incrociate, ci siamo letteralmente schiantati al suolo", ricorda l'ufficiale. Apple 01, ai comandi del tenente colonnello Warner A Britton, aveva mancato il punto di atterraggio convenuto per evitare gli alberi troppo alti e per la mancata accensione di un bengala dei C130, ed era finito a ridosso di una struttura denominata Secondary School perché si credeva ospitasse i locali di una scuola di artiglieria. Con orrore, Simons e i suoi uomini scoprirono che non si trattava di una scuola, ma di una serie di baracche che brulicavano di soldati nemici: ed essi aprirono un fuoco d'inferno contro gli americani. Bull Simons si infilò nel parapiglia in un fosso dove trovò un soldato nordvietnamita in mutande, livido di paura. Lo abbattè con la sua .357 e proseguì. In pochi minuti i commandos uccisero 100, forse 200 nordvietnamiti facendo detonare contro le loro baracche le cariche da demolizione portate per abbattere il muro di cinta.















L'unico gruppo a non aver avuto problemi era Redwine, agli ordini del tenente colonnello Eliott P Sydnor: atterrato in perfetto orario alle 0220L sulla strada che portava ad Hanoi, aveva potuto eseguire senza interferenze i suoi compiti, tagliando i collegamenti fra il campo e il comando e piazzando un blocco stradale. Nel frattempo Blueboy, guidato dal capitano Richard J Meadows, assaltò il campo e cominciò a cercare le baracche cella per cella, solo per scoprire che erano vuote. Meadows avvertì via radio Simons del fatto, e ricevette ordine di evacuare. Alle 0236L il primo elicottero lasciò Son Tay, seguito da un secondo nove minuti dopo. Il raid era durato in tutto ventisette minuti, nessun soldato americano era caduto in azione, alcuni feriti non gravi e una gamba rotta nell'atterraggio fortunoso di Banana 01 furono tutti i danni riportati dalle Special Forces.





Un'illustrazione di Blueboy. In ginocchio, il capitano Meadows parla in un megafono rivolto ai prigionieri che si riteneva essere nelle baracche per tranquillizzarli



La battaglia era comunque infuriata aspra. Almeno 18 SA2 Guideline furono lanciati contro gli aerei e gli elicotteri americani, uno dei quali colpì un F105G il cui equipaggio dovette eiettarsi sul Laos e fu recuperato dagli elicotteri di ritorno da Son Tay.

Cos'era andato storto? Dov'erano finiti i prigionieri? Più tardi di scoprì che il 14 Luglio erano stato spostati a Dong Hoi, in una struttura denominata Camp Faith. E, non a causa di una crepa nella sicurezza, ma per un problema per così dire idrico: le rive del Song Con stavano cedendo e c'era il rischio che il fiume inondasse il campo. La legge di Murphy, tutto quello che può andare storto state sicuri che andrà storto, aveva colpito ancora.

Fu dunque il raid un fallimento? Secondo gli storici no. La forza di assalto prese il campo e raggiunse i suoi obiettivi. Nessun prigioniero fu soccorso, è vero, ma nessun soldato americano cadde nell'azione. Soprattutto l'operazione mandò un chiaro messaggio ad Hanoi, e quel messaggio diceva che gli americani sapevano del trattamento disumano e degradante cui erano sottoposti i loro prigionieri e che avrebbero fatto ogni sforzo per riportarli a casa. A Dong Hoi, venti chilometri a oriente di Son Tay, i prigionieri americani furono svegliati dal rumore dei combattimenti e capirono che il loro ex campo di prigionia era stato attaccato. Benché coscienti di aver perso il biglietto per tornare a casa, quegli uomini capirono che il loro Paese non li aveva abbandonati. Il loro morale andò alle stelle. E i nordvietnamiti recepirono il messaggio, forse agghiacciati anche dalla constatazione che truppe americane potevano operare indisturbate a così poca distanza dalla loro capitale.




Un F-105G Wild Weasel impiegato nell'operazione.

Il raid di Son Tay diede il via a piccoli ma importanti cambiamenti. Tutti i prigionieri americani furono concentrati ad Hanoi, uomini che avevano passato anni in solitudine si ritrovarono circondati di loro camerati. Il trattamento migliorò, la tortura non fu più praticata, fu addirittura ordinato alla milizia di proteggere i piloti americani abbattuti dai maltrattamenti da parte dei contadini, fu permesso di ricevere pacchi e corrispondenza da casa e scrivere a casa, come previsto dalla Convenzione di Ginevra.

Dal punto di vista dei prigionieri di guerra americani, il raid di Son Tay fu dunque un successo.




In volo per Son Tay. Notare il fucile a pompa in primo piano.





Redwine





Il capitano Richard J. Meadows.



Gli uomini di Kingpin:

Col Arthur D. "Bull" Simons, USA, Son Tay Raider
LTCOL Keith R. Grimes, U.S.A.F, Son Tay Planner
LTC Gerald Kilburn, USA, Son Tay Support Element
Col William Dave Burroughs, U.S.A.F. Son Tay POW
SSGT Earl D. Parks, U.S.A.F., Loadmaster, "Cherry 1"
LTCOL Richard S. Skeels, U.S.A.F., "Peach 3"
MSG David A. Lawhon, Jr., USA, Son Tay Raider
MAJ Richard "Dick" Meadows, USA, Son Tay Raider
Col John H. "Howie" Dunn, U.S.M.C., Son Tay POW
LTCOL William J. Starkey, U.S.A.F., "Firebird 3" - F-105
CWO4 John W. Frederick, U.S.M.C., Son Tay POW
CAPT Edward A. Brudno, U.S.A.F., Son Tay POW
LTCOL Charles P. McNeff, U.S.A.F., Navigator, "Lime 1"
TSGT Billy Joe Elliston, U.S.A.F., Loadmaster, "Cherry 2"
TSGT James M. Shepard, U.S.A.F., Loadmaster, "Cherry 1"
MSG Aaron L. Tolson, Jr., USA, Son Tay Support Element
Col Donald Kilgus, Firebird 5, F-105
SGT Marshell A. Thomas, USA, Son Tay Raider
Capt William M. McGeorge, U.S.A.F "Apple 5"
Maj Alfred C. Montrem, U.S.A.F., Co-pilot, "Apple 1"
TSGT Lawrence Wellington, U.S.A.F., Crew Member "Apple 4"
CSM Billy K. Moore, USA, Son Tay Raider
Col Richard (Dick) Dutton U.S.A.F., Son Tay POW
MSGT Harold W. Harvey, U.S.A.F., Pararescueman,"Apple 1"
Col Norman H. Frisbie, U.S.A.F., Chief Son Tay Planner
Col John Forrester, U.S.A.F., EWO, "Firebird 1," F-105
TSGT Leroy M. Wright, U.S.A.F., Flight Engineer, "Banana 1" HH-3
MSG Jesse A. Black, USA, Son Tay Planning Group
Col James V. Bailey, USA, Son Tay Planning Group
LTCOL Mel Bunn, U.S.A.F., "Peach 4"
Mr. Ben Schemmer, a great friend and supporter of the Son Tay Raid association
LTC Bill Robinson, USA, Son Tay Support Element
TSGT Paul E. Stierwalt, U.S.A.F., Radio Operator, "Cherry 2"
Lt Col Cecil M. Clark, U.S.A.F., Son Tay Planner
MSG William L. Tapley, USA, Son Tay Raider
SFC Bruce M. Hughes, USA, Son Tay Support Element
MAJ Harry L. Pannill, USAF, Copilot, "Cherry 2"
MSG Donald D. Blackard, USA, Son Tay Raider, "Redwine"
SGM Donald M. Davis, USA, Son Tay Raider, Feasibility Study Group
Col Warner A. Britton, U.S.A.F, Pilot, "Apple1"
SSGT Aron Paul Hodges, S.S.A.F, Flight Engineer, "Apple 1"
Lt. Col Russell E. Temperley, U.S.A.F., Son Tay POW
MAJ James "Bob" Gochnauer, U.S.A.F., Pilot, "Peach 2"
CSM Galen "Pappy" Kittleson, USA, Son Tay Raider "Blue Boy"
MSgt Gary T. Igo, USAF, Flight Engineer, EC-121, "Frog One"
MAJ Boyd F. Morris USA, Ivory Coast, Supply Officer
Col Irby David "Dave" Terrell, Jr. USAF, Son Tay POW
MSgt Leslie G. Tolman, USAF, Loadmaster, "Cherry 1"
CSM Marion S. Howell, USA, Son Tay Raider "Redwine"





Bull Simons festeggiato in patria.



BIBLIOGRAFIA:
Benjamin F. Schemmer The Raid (Harper & Rowe, 1976);
Jeffrey D.Glasser The Secret Vietnam War: The United States Air Force in Thailand, 1961­-1975 (McFarland & Company);
Dale Andradé Bring our POWs Back Alive Vietnam Magazine, Febbraio 1990;
John L. Plaster SOG - The Secret Wars of American Commandos in Vietnam (Simon & Schuster, 1997).







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