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6 luglio 2009 1 06 /07 /luglio /2009 19:16







Grenada e le Grenadine.


Grenada è un'isola-nazione nel Mar dei Caraibi sud-orientale, che comprende anche le Grenadine meridionali. È la seconda più piccola nazione indipendente nell'emisfero occidentale (dopo Saint Kitts e Nevis): ha una superficie di 344 chilometri quadrati e una popolazione di circa 90 mila abitanti. Ex-colonia britannica, indipendente dal 1974, sotto la guida del primo ministro Sir Eric Gairy, dapprima molto popolare in quanto capo del Grenada United Labour Party, da lui fondato nel 1950, che aveva giuidato il Paese all’indipendenza, e poi fortemente contestato dopo la rielezione nel 1976. Si parlò apertamente di brogli, si accusò Gairy di voler instaurare una dittatura nel Paese, ma quello che preoccupava maggiormente le capitali dei Paesi alleati (USA e Gran Bretagna, principalmente), era la sua evidente instabilità mentale, non tanto perché sostenitore dell'esistenza degli extraterrestri al punto da parlarne pubblicamente all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (anche il Presidente americano di quel tempo, Jimmy Carter, era convinto della loro esistenza, e dichiarò in diverse occasioni di avere visto degli UFOs), ma perché dedito al culto dei riti voodoo e della santeria; viveva circondato di stregoni e fattucchiere, e pretendeva di esorcizzare personalmente ogni persona a suo dire "posseduta".


 

 

Sir Eric Gairy. A fianco: Maurice Bishop con Fidel Castro.





L'opposizione, sostenuta anche dagli Stati Uniti, prese rapidamente la forma di violente proteste civili, che trovarono la loro naturale guida nel New Joint Endeavor for Welfare, Education, and Liberation (New JEWEL Movement, NJM tout court), un movimento di vaga ispirazione marxista, guidato da uno studente di economia laureato a Londra, Maurice Bishop, che rovesciò Gairy con un colpo di stato incruento, il 13 Marzo 1979, mentre il primo ministro stava parlando di UFOs al Palazzo di Vetro. Bishop, che per anni aveva seduto nel parlamento dell'isola come capo dell'opposizione, fu nominato primo ministro, con la prima preoccupazione di sospendere la costituzione e mettere fuori legge tutti i partiti tranne il suo. Non è chiaro se Bishop, persona fino a quel momento equilibrata e moderata, nonostante le sue idee marxiste, agisse di suo o fosse manovrato dal comitato del partito, infiltrato da agenti della DGI, di certo rimane il fatto che Grenada divenne rapidamente il secondo stato marxista dell'area dopo Cuba.

Bishop instaurò immediatamente stretti legami con Cuba, e diede il via a numerosi progetti, fra i quali i due più controversi furono senz'altro la costruzione dell'aeroporto di Salines, nella parte meridionale dell'isola, e la creazione di un nuovo esercito: il People's Revolutionary Army, PRA. L'aeroporto di Salines era ritenuto una minaccia militare dalla nuova amministrazione americana di Ronald Reagan (dalla sua pista, prevista della lunghezza di 2700 metri, potevano operare anche bombardieri pesanti), e il PRA veniva giudicato dagli oppositori uno spreco di denaro e, sostanzialmente, uno strumento di potere nelle mani del NJM.

Il 13 Ottobre 1983, vi fu un nuovo colpo di stato, a opera di una fazione del NJM guidata dal vice primo ministro Bernard Coard; pare che Fidel Castro in persona avesse ordinato il putsch, preoccupato da un riavvicinamento dell'isola agli USA. Bishop venne arrestato, ma la popolazione si riversò in strada e cercò di liberarlo dalla prigione dove era detenuto. Le guardie aprirono il fuoco uccidendo centinaia di cittadini disarmati, successivamente Bishop venne fucilato insieme a molti membri del governo che gli erano rimasti fedeli in circostanze mai completamente chiarite.

A questo punto l'esercito, comandato da Hudson Austin, formò una giunta militare e prese il potere, mettendo il Governatore Generale britannico, Paul Scoon, agli arresti domiciliari. Vennero annunciati anche 4 giorni di coprifuoco totale: chiunque fosse stato sorpreso in strada sarebbe stato immediatamente ucciso.

L'Organizzazione degli Stati dei Caraibi Orientali richiese agli Stati Uniti, Barbados e Giamaica di stabilizzare la situazione a Grenada. Si trattava di una pura formalità, perché gli USA avevano deciso di intervenire comunque, preoccupati che l'isola cadesse definitivamente nella mani di Castro, e questo benché il lider maximo, fiutando i guai nell'aria, avesse preso le distanze dai fatti di Grenada: già il 20 Ottobre, l'Avana si era dichiarata "profondamente costernata" per gli eventi dell'isola, e aveva deplorato l'inutile spargimento di sangue. Castro in persona aveva ricordato Bishop come un suo caro amico. Il 22 il dittatore dichiarò pubblicamente che i "consiglieri" cubani presenti nell'isola (ufficialmente medici e ingegneri impiegati in aiuto alla popolazione locale), non sarebbero intervenuti in caso di invasione americana (come? Brandendo bisturi e badili?, nda) se non direttamente attaccati. Addirittura il governo cubano offrì la sua collaborazione per l'evacuazione dei cittadini stranieri (soprattutto studenti americani della locale facoltà di medicina) rimasti bloccati nell'isola dagli scontri.


L'aeroporto di Salines fotografato da un satellite poche ore prima dell'attacco.

Ma era troppo tardi per fermare la macchina militare che si era messa in moto agli ordini dell'ammiraglio Joseph Metcalf III. Operation Urgent Fury, come suggerisce il nome, fu decisa con una certa precipitazione, pare che perfino i comandanti delle navi da guerra impegnate non sapessero nulla fino a 24 ore prima dell'invasione, il 22nd MAU (Marine Amphibious Unit), fu ridiretto sull'isola mentre era in navigazione verso il Libano, l'82nd Airborne e il 1st Ranger ricevette mappe turistiche perché non ne esistevano di militari, i SEALs e la Delta ebbero foto scattate poche ore prima da un SR71 inviato da Puerto Rico, non essendoci tempo per reindirizzare i satelliti spia sull'isola.

Gli imprevisti così non mancarono. Una squadra SEAL incaricata di fornire intelligence sulla pista di Salinas, non poté prendere terra poco dopo la mezzanotte del 25 Ottobre, perché nelle mappe non era segnalata una scarpata, una della Delta fu paracadutata in uno stadio di calcio anziché sull'università, mentre altre azioni andarono meglio. Le squadre SEAL col compito di mettere in sicurezza la residenza del governatore generale inglese, atterrarono impeccabilmente sul bersaglio dopo un Halo da novemila metri, i militari a guardia furono tutti eliminati senza perdite. Stesso successo ebbe l'assalto alla stazione radio del governo per impedire la diffusione di notizie sull'attacco in corso.





Paracadusti americani su Salines.




Paracadutisti americani in marcia verso St. George's.


 

Carri dei Marines. Un CH-46 abbattuto a Pearls.



"Volontari" cubani catturati dagli americani.



Rangers sbarcano da un UH-60. Sotto: un altro Sikorsky, qui al suo primo impiego operativo.





Bombardamento americano a Point Calivigny.



Obici M-102 dell'Airborne in azione contro le postazioni nemiche.



L'arrivo dei C-141 a Salines.



Rangers a Point Salines, appena sbarcati dal C-141 sullo sfondo, giunto direttamente dalla Florida.





Un binato contraereo da 23mm SU. La presenza di questi sistemi fu una sgradita sorpresa.





Due CH-46 abbattuti a Pearls nelle prime fasi dell'operazione.

L'invasione vera e propria nel frattempo era cominciata. Alle 0500L, 500 Marines delle compagnie Able e Baker, partiti dalla portaelicotteri Guam, toccarono terra presso il piccolo aeroporto di Pearls, accolti dal fuoco del PRA. Un ZU23 sovietico abbatté immediatamente un CH46 che, dopo aver scaricato le truppe stava rialzandosi, uccidendo il pilota. I marines si ritrovarono inchiodati fra le palme e la spiaggia, con le compagnie Fox ed Echo in volo a loro volta verso Pearl dalla Guam. Fu richiesto supporto a fuoco, un paio di elicotteri Sea Cobra furono inviati dalla LPH, che soppressero rapidamente il fuoco nemico, permettendo alla compagnia Echo di atterrare in sicurezza, mente Fox finì sotto il fuoco dei mortai sfuggiti ai Sea Cobra poco prima. Dopo due ore di combattimenti fu possibile muovere verso Greenville, a sud dell’aeroporto.

Alle 0534L quattro C130, appoggiati da uno Spectre, lanciarono i primi Rangers sull'aeroporto di Salines, che fu messo rapidamente in sicurezza dopo un breve combattimento costato ai GIs cinque morti e sei feriti (sconosciute le perdite fra i governativi e i cubani), per permettere l'arrivo di 800 uomini della 3rd Brigade, 82nd Airborne, direttamente da Bragg, su C141, incaricati di portare soccorso agli oltre 1000 studenti americani (e di altre nazionalità caraibiche), rimasti bloccati dai disordini seguiti al colpo di stato all'interno dei due campus, True Blu e Romeo Dog (curiosamente, Romeo Dog era il radio call dell'unità sbarcata a Baia dei Porci, nda), del St. George's Medical Center. True Blue, situato al termine della pista in costruzione dell'aeroporto, fu in realtà raggiunto e messo in sicurezza dagli stessi Rangers che avevano assaltato Salines, Romeo Dog, lontano qualche chilometro nei pressi di Grand Anse (l'isola, originariamente e per oltre un secolo colonia francese, conserva molti toponini in quella lingua), fu raggiunto nel primo pomeriggio, dopo violenti combattimenti fra l'82nd e i cubani che avevano messo blocchi stradali.

Alle 0600L, Marines della compagnia Golf provenienti dalle navi trasporto carri Manitowoc e Barnstable County, presero terra con 13 LVTPs e 5 MBTs M60, a Grand Mal, poco a nord di St George's, con l'obiettivo di raggiungere la residenza del Governatore inglese, obiettivo raggiunto solo alle 0712L del giorno seguente, dopo una serie di violenti scontri con le truppe cubane, trincerate al riparo di posizioni fotemente protette, risolto grazie all'intervento di assaltatori A7E dalla portaerei Independence, costantemente disturbati dal tiro contraereo. "Quei figli di puttana avevano un sacco di munizioni", ricorda il pilota di un Corsair, "e, perdio, le consumarono tutte per cercare di tirarci giù". Un altro CH46 e un Sea Stallion vennero infatti abbattuti.

Il 26 Ottobre passò relativamente tranquillo, gran parte della giornata fu dedicata dalle truppe americane all'evacuazione dei feriti e al rastrellamento delle località conquistate, ma all'alba del terzo giorno, 27, Rangers e Marines, con l'appoggio degli aerei della Independence, attaccarono le postazioni cubane di Fort Adolphus, Fort Matthew e la prigione di Richmond Hill, con l'appoggio degli aerei della Navy, sempre fatti oggetto di un tumultuoso, per quanto impreciso, fuoco contraereo.

Contemporaneamente, l'82nd Airborne, col supporto delle artiglierie navali e degli elicotteri armati, mosse verso le caserme di Calivigny, a est dell'aeroporto di Salines, la cui conquista, conclusa in poche ore di duri scontri, rappresentava l'ultimo degli obiettivi maggiori prefissi dal piano di invasione. Nella tarda serata, i Rangers, avendo esaurito la loro missione, lasciarono Grenada per fare ritorno nelle loro basi negli USA

Il giorno seguente, 28, i Marines e l'82nd entrarono finalmente in contatto a Ross Beach. Misero immediatamente in sicurezza St George's e facendo piazza pulita delle ultime sacche di resistenza. Rimanevano ancora piccole unità di sbandati cubani, che combatterono occasionalmente fino al 2 Novembre, quando tutti gli obiettivi potevano dirsi raggiunti. Il giorno dopo, 3, i Marines iniziarono il reimbarco sulle unità anfibie che vennero avviate sulla loro rotta originaria verso il Libano. In totale, gli americani impiegarono 1900 uomini per l'urto iniziale, che diventarono 5000 nei giorni successivi, oltre a 350 uomini forniti da da Antigua, Barbados, Dominica, Giamaica e St. Lucia e inquadrati nella cosiddetta Caribbean Peace Force (CPF), impiegati principalmente come polizia militare. A fronteggiarli, trovarono 1200 Grenadiani, 780 cubani, 49 sovietici, 24 nordcoreani, 16 tedeschi (DDR), 14 bulgari e 4 libici, dei quali solo i cubani combatterono. 599 cittadini americani, e 80 di altre nazionalità, furono evaqcuati dall'isola nei primi tre giorni, mentre le perdite ammontarono, per gli americani, a 18 caduti e 116 feriti (77 curati direttamente sulla LPH Guam, gli altri, più gravi, inviati all'ospedale della Roosevelt Roads Naval Station di Puerto Rico), sconosciute quelle del nemico, che si ritengono, comunque, molto pesanti.




BTR 60 distrutti dai combattimenti.  



Feriti americani in attesa di essere evacuati. 


 
Un AH-1 sorvola degi UH-60 parcati a Salines.



Studenti americani in attesa di salire su un C-141 per fare ritorno negli USA.


Urgent Fury fu un sussesso? Sicuramente sì, perché raggiunse gli obiettivi prefissati, compreso quello di garantire all'isola un governo democraticamente eletto, ma dal punto di vista tattico non si può dire altrettanto. La missione risultò poveramente pianificata per la semplice ragione che nessuno aveva mai pensato di intervenire a Grenada fino a poche prima, e questo con buona pace di chi sostiene che i perfidi demogiudoplutomassoni americani bramassero da anni la conquista dell'isoletta. Il problema principale, come si è visto, fu la mancanza di adeguate informazioni sul terreno e sulle forze nemiche, si riteneva che i cubani fossero operai non qualificati, medici e maestri, mentre nella realtà ci si trovò di fronte a reparti combattenti molto ben addestrati, che diedero parecchio filo da torcere al Corpo di Spedizione finché un raid dei SEALs non fece piazza pulita del loro quartier generale, a Fort Frederick. Mancando l'adeguato coordinamento, le truppe sul campo sbandarono rapidamente, consentendo un più rapido raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Altro problema fu la messa in sicurezza degli studenti americani, i cui alloggiamenti erano suddivisi fra TRE campus, e non due come si riteneva. Infine pesò, e molto, la assoluta mancanza di un sistema di comunicazione integrato fra le varie forze armate, in pratica ogni arma aveva il suo sistema di comunicazione, quello dei marines non interagiva con quello dell'esercito, e così le comunicazioni dovevano passare tramite Washington anziché direttamente sul campo fra i comandanti delle varie unità. Si racconta che un ufficiale della Delta, per ottenere uno Spectre, dovesse fare una collect call (chiamata a credito del destinario), a Fort Bragg, dal telefono pubblico di un bar dove era asserragliato coi suoi uomini, circondato dai cubani

Bernard Coard, arrestato dai militari americani, processato per l'organizzazione del colpo di stato, fu condannato all'ergastolo (pena che continua a scontare attualmente).

Grenada ha dichiarato il 25 Ottobre festa nazionale, chiamata Giorno del Ringraziamento (Thanksgiving Day, nulla a che vedere con l'equivalente americano, ovviamente). 


Le forze in campo:

22nd Marine Amphibious Unit 
82nd Airborne Division 
21nd Tactical Air Support Squadron 
1st Battalion (Ranger), 75th Infantry 
Navy SEALs: SEAL Team Five e SEAL Team SIX 
Delta Force 
160th SOAR (A)

Amphibious Squadron Four:

Portaelicotteri da assalto anfibio Guam (LPH9),
Navi trasporto carri Barnstable County (LST1179) e Manitowoc (LST1180),
Nave da sbarco Fort Snelling (LS30),
Nave da sbarco con bacino allagabile Trenton (LPD14)


Independence Task Group

Portaerei di squadra Independence (CV62),
Incrociatore classe Leahy Richmond K. Turner (CG20),
Cacciatorpediniere classe Farragut Coontz (DDG40),
Cacciatorpediniere classe Spruance Caron (DD970), Moosbrugger (DD980),
Fregata classe Oliver Hazard Perry Clifton Sprague (FFG16),
Nave trasporto munizioni Suribachi (AE21) utilizzata come nave comando, avendo a bordo l'Invasion Tactical Planning Group.






Inoltre, furono utilizzate per il blocco dell'isola, nel timore di invio di rinforzi da Cuba:

Portaerei di squadra America (CV66),
Aliscafo lanciamissili Aquila (PHM4), Taurus (PHM3)
Fregata classe Oliver Hazard Perry Aubrey Fitch (FFG34), Samuel Eliot Morison (FFG13)
Cacciatorpediniere classe Spraunce Briscoe (DD977),
Sottomarino nucleare classe Los Angeles Portsmouth (SSN707),
Nave recupero Recovery (ARS43),
Portaelicotteri da assalto anfibio classe Tarawa Saipan (LHA2),
Cacciatorpediniere classe Charles F Adams Sampson (DDG10),

Cruiser Costal Guard Chase (WHEC-718).



BIBLIOGRAFIA:
Ronald H. Cole, Operation Urgent Fury: The Planning and Execution of Joint Operations in Grenada 12 October - 2 November 1983 Joint History Office of the Chairman of the Joint Chiefs of Staff Washington, DC, 1997

Adkin, Mark, Urgent Fury: The Battle for Grenada: The Truth Behind the Largest U.S. Military Operation Since Vietnam , L Cooper, Londra, 1989


 

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22 febbraio 2009 7 22 /02 /febbraio /2009 17:47



Soldati cinesi in marcia

































Donne al fronte, probabilmente vietnamite


































Prigionieri cinesi

































Truppe cinesi in trincea prima di un attacco. Sullo sfondo un MBT Type 59



















Type 59, sostanzialmente un T55 prodotto in Cina





Truppe cinesi si preparano a un attacco



















A destra e sotto, soldati cinesi catturati dai vietnamiti












 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



Cinesi etnici arrestati dai vietnamiti con l'accusa di essere spie





















Truppe cinesi in azione






















Truppe cinesi all'assalto






































Prigioniero vietnamita interrogato dai cinesi dopo la cattura























Un altro prigioniero vietnamita. Secondo Pechino, il PLA catturò oltre 2000 vietnamiti nel corso degli scontri.























Prigioniero vietnamita depone le armi. Notare il fucile impugnato dal soldato cinese e risalente agli anni Trenta.































Prigionieri cinesi





























Prigionieri vietnamiti

















Soldati vietnamiti istruiscono la milizia contadina all'uso delle armi




























Soldati vietnamiti

















Le nuove, buone relazioni fra i due Paesi, sottolineate dalla stretta di mano fra il presidente vietnamita Nguyen Ming Triet e il cinese Hu Jintao, 2005.












 






Soldati vietnamiti e cinesi (al centro), dopo la normalizzazione delle relazioni fra i due Paesi.












La "porta della pace e dell'amicizia", al confine fra i due Paesi.
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22 febbraio 2009 7 22 /02 /febbraio /2009 16:51







Chi immaginava che la cacciata degli americani dall’Indocina avrebbe portato la pace da quelle parti, fu rapidamente deluso. La nascita alle sue frontiere meridionali di un Vietnam forte e riunificato, geloso della sua indipendenza e potenzialmente in grado di ricoprire un ruolo egemone nella penisola indocinese, destava nella Cina riflessi nazionalistici e preoccupazioni di tipo strategico. Era stata proprio la "dottrina Nixon" di disimpegno dal Vietnam, enunciata nel Luglio 1969, a suscitare nei dirigenti cinesi il timore di un allargamento della sfera d'influenza sovietica nel Sud-Est asiatico.

Isolata diplomaticamente e debole militarmente, la Cina aveva scelto di avvicinarsi agli Stati Uniti, superpotenza percepita come "declinante", nel timore che l'URSS, superpotenza in ascesa, potesse risultare in breve tempo l'unica potenza "egemone". La "dottrina Brezhnev" ventilava, un mese prima, nel Giugno 1969 l'ipotesi della formazione di un sistema di sicurezza collettivo in Asia patrocinato dai Sovietici, tanto da far paventare a Pechino una minaccia militare sovietica che dalle frontiere nord e nord-occidentali (nel Marzo ed Agosto 1969 vi erano stati gli incidenti militari sull'Ussuri e alla frontiera del Sinkiang) avrebbe potuto facilmente estendersi a quelle meridionali. Il processo di apertura al campo occidentale, avviato per iniziativa di Mao Tse-tung, portava alla Cina il riconoscimento da parte degli Stati Uniti nel 1971 e la rottura dell'isolamento internazionale con l'ingresso nelle Nazioni Unite. Dopo la visita del presidente Nixon a Pechino, nel Febbraio 1972, il fossato che separava Cina ed Unione Sovietica veniva allargato in modo decisivo dal Decimo Congresso del PCC, dove Chu En-lai, nell'Agosto 1973, condannava il "social-imperialismo" sovietico e definiva l'URSS il nemico principale della pace mondiale.

La conquista nord-vietnamita di Saigon nell’Aprile 1975 non suscitava dunque entusiasmo a Pechino. L'esercito rivoluzionario, forte di uomini, entrava in possesso del ricco arsenale sud-vietnamita, disponendo in questo modo di un notevole potenziale bellico. Il sospetto che da parte sovietica si volesse fare del Vietnam l'avamposto sud-orientale del proprio dispositivo strategico veniva suffragato dall'arrivo ad Hanoi, in Maggio, di una delegazione militare sovietica. Da parte cinese veniva denunciato immediatamente il tentativo di Mosca di ottenere dai vietnamiti la disponibilità delle basi navali ed aeree di Tan Son Nut, Cam Ranh e Da Nang, abbandonate dagli americani. Se pressioni ci furono, va ugualmente sottolineato come Hanoi vi abbia resistito per quattro anni, prima di cedervi sotto l'accresciuta minaccia militare cinese.

Sottoposto alle richieste di un maggior coinvolgimento nel sistema sovietico, il Vietnam riceveva nel contempo da Pechino sollecitazioni sempre più forti a raggiungere il campo opposto. Pur mantenendo un atteggiamento equidistante, i dirigenti vietnamiti non facevano mistero di non condividere la linea filo-statunitense intrapresa da Pechino, mentre riconoscevano all'URSS il merito di aver sostenuto la lotta del Vietnam per l'indipendenza dall'imperialismo americano. Un fattore decisivo nelle scelte politiche di Hanoi fu determinato dalla cessazione degli aiuti economici che precedentemente la Cina aveva assicurato al Vietnam in guerra. In assenza di aiuti provenienti dai Paesi occidentali o filo-americani, il Vietnam si volse necessariamente verso l'Unione Sovietica.


Le relazioni cino-vietnamite subirono dunque un processo di deterioramento sotto la spinta di fattori politici e strategici che avevano dimensioni mondiali. Contestualmente, il rapporto fra cinesi e vietnamiti poggiava su un terreno storicamente accidentato. Il costituirsi nella penisola indocinese di uno Stato vietnamita unitario e diretto da una leadership che si rafforzava all'interno rappresentava un pericolo che la Cina nel corso dei secoli aveva costantemente avvertito.

Le relazioni fra i due Paesi deteriorarono rapidamente a causa dell’adesione di Hanoi al Comecon: l’Agenzia Nuova Cina accusò Hanoi di aver imboccato la strada che l’avrebbe portata a diventare la “Cuba asiatica”; nel frattempo, le tensioni sfociarono in frequenti incidenti di frontiera.

A sud, benché comunisti vietnamiti e cambogiani avessero cooperato strettamente negli anni della guerra contro gli americani e i loro alleati, le relazioni fra Hanoi e Phnom Penh guastarono quasi altrettanto rapidamente a causa della pretesa di  Pol Pot, di aver restituite parti del territorio cambogiano arbitrariamente assegnate dai francesi al Vietnam, al momento di tracciare i confini coloniali.

 


A fianco: truppe cinesi attraversano il confine col Vietnam.


Hanoi ovviamente rifiutò, e Pol Pot rispose scatenando feroci pogrom contro la minoranza vietnamita che viveva in Cambogia (pescatori e piccoli commercianti, più che altro); più tardi, iniziò a fornire armi e assistenza ad alcuni movimenti di guerriglia che, su base etnica e tribale, si opponevano al regime di Hanoi.

Il Vietnam, in un primo momento, mosse coi piedi di piombo, preoccupato dal potente alleato dei cambogiani, la Cina, dove il dopo Mao non era ancora ben delineato. Ma vi era anche chi vedeva nelle tensioni una possibile opportunità per emergere come maggiore potenza regionale grazie alla salda posizione già acquisita nel Laos, posizione che sarebbe sicuramente uscita rinforzata dall’annessione della Cambogia, facendo di Hanoi il pivot politico e militare della regione.


Soldati vietnamiti


Nel gioco si inserirono i sovietici, ansiosi di spazzare via l’unico alleato della Cina nella regione e di dimostrare i benefici di un allineamento al Cremlino. Il ministro degli esteri sovietico, Andrej Gromiko, si recò in visita ad Hanoi nel bel mezzo di una violenta battaglia nel cosiddetto “amo da pesca”, una regione dove si era già combattuto aspramente nel 1970 contro gli americani, e  annunciò pubblicamente l’appoggio del Cremlino “al fratello e alleato popolo vietnamita contro i banditi cambogiani”. Alcune navi da guerra sovietiche visitarono nelle settimane seguenti i porti del Vietnam, rinforzando la sensazione che Mosca fosse pronta a scendere in campo militarmente a fianco dell’alleato asiatico in caso di attacco cinese.




Carro armato cinese

Alla fine del 1978, il Vietnam invase la Cambogia. Come prevedibile, le ben equipaggiate truppe di Hanoi sbaragliarono in poche ore  le raccogliticce forze dei Khmer Rouges, e, il 7 Gennaio 1979, entrarono a Phnom Penh, mettendo fine al regime di Pol Pot. Pechino accusò immediatamente il regime fantoccio instaurato dai vietnamiti di perseguitare la ricca minoranza cinese, accuse rapidamente estese al vicino Vietnam, dove i cinesi etnici, Hoa, a causa delle persistenti tensioni con la Repubblica Popolare, subivano effettivamente pesanti vessazioni., al punto che chi viveva nei pressi del confine, lo aveva riattraversato, facendo ritorno in madrepatria. La persistente tensione fra i due Paesi moltiplicò gli incidenti di frontiera, che passarono dalle fucilate scambiate fra le opposte pattuglie all’affondamento di pescherecci soprattutto nell’area delle isole Spratly, sulle quali entrambi i governi reclamavano (e reclamano) la sovranità, in un’escalation che portò infine a cruenti duelli di artiglieria il cui numero di vittime non è mai stato reso noto, ma che dovettero essere alte se trapelarono notizie di disordini fra i contadini cinesi dei villaggi nei pressi della frontiera che accusavano il governo di Pechino di non proteggerli dai vietnamiti.


Truppe cinesi entrano il capoluogo provinciale di Cao Bang, 27 Febbraio 1979

Il 15 Febbraio 1979, la Repubblica Popolare Cinese annunciò ufficialmente l’intenzione di “cacciare i lacchè imperial-revisionisti al servizio della controrivoluzione neo borghese e anti proletaria bolscevica” dalla Cambogia, ma l’unico che diede peso alla cosa fu Henry Kissinger, al quale non era sfuggito che in quei giorni scadeva il trattato di Amicizia ed Alleanza Cino-Sovietico, fatto questo che permetteva a Pechino di attaccare un alleato di Mosca senza violare alcun accordo; la confusionaria amministrazione Carter, tutta occupata a contemplarsi l’ombelico della salvaguardia dei diritti civili (e degli intrallazzi del fratello del Presidente in carica, Billy Carter), ignorò gli avvertimenti dell’ex-Segretario di Stato, e gli altri Paesi occidentali non capirono cosa stava succedendo, o non diedero peso o importanza alla cosa. Nelle ore seguenti, gli incidenti di frontiera si moltiplicarono con l’entrata in azione di cecchini cinesi che uccisero diversi civili e militari vietnamiti sparando attraverso il confine.


Un carro Type 59 cinese distrutto dai vietnamiti

Due giorni più tardi, il 17 Febbraio 1979, l’Esercito di Liberazione del Popolo (People’s Liberation Army, PLA), attraversò la frontiera con una forza stimata in un primo tempo a 200 mila uomini (cifra poi corretta a 85 mila) della Regione Militare di Kunming, accompagnati da almeno 200 MBTs (1000, nelle prime stime) forniti dalla Regione di Guangzhou (Canton): altri 600 mila uomini con circa 1000 MBTs stazionavano di rincalzo oltre il confine e furono impiegati per avvicendare le unità di prima linea e ripianare le perdite. Erano truppe che conoscevano molto bene il terreno, perché negli anni della guerra contro gli americani avevano fornito supporto di vario genere agli allora alleati, operando spesso nella parte settentrionale dell’allora Vietnam del Nord. Pechino confidava sicuramente nel fatto che il meglio dell’esercito nemico era in quel momento occupato in Cambogia, e che le forze di Hanoi, stimate dall’intelligence in 70 mila uomini per la maggior parte guardie di confine, sarebbero state spazzate via in poche ore.


Un soldato vietnamita catturato dai cinesi

Così non fu: i cinesi si trovarono di fronte oltre 100 mila regolari, senza contare le truppe di confine e la milizia locale immediatamente mobilitata dal governo di Hanoi che pure pare essere stato colto di sorpresa dall’attacco. I cinesi avanzarono di otto chilometri in poche ore per doversi poi arrestare a causa di difficoltà logistiche (i carri armati avevano finito la benzina, pare, e le colonne di rifornimento non erano ancora state organizzate). Quando tentarono di ripartire, la forte resistenza nemica li inchiodò sul posto per tre giorni, fino a che il 21, riuscirono a riprendere l’avanzata verso Cao Bang e l’importante nodo stradale di Lang Son.

Il PLA entrò a Cao Bang il 27, ma la non fu possibile mettere in sicurezza la città prima del 2 Marzo. Lang Son cadde due giorni dopo, assieme a Lao Cai. Il 5 Marzo, Nuova Cina dichiarò che la strada per Hanoi era libera e che il PLA avrebbe potuto raggiungerla in poche ore, quindi la sua missione era conclusa; entro il 16, Pechino ritirò le truppe. Il risultato strategico di forzare i vietnamiti a lasciare la Cambogia per fronteggiare la minaccia di invasione dal Nord non era stato minimamente raggiunto.


Soldato vietnamita in azione contro i cinesi

Entrambi i belligeranti si dichiararono vincitori, minimizzando le proprie perdite ed enfatizzando quelle avversarie. Le stesse stime occidentali sono piuttosto discordi: i cinesi ammettono 6900 morti e 15000 feriti, i vietnamiti, per le sole forze regolari (escluse le guardie di frontiera e la milizia territoriale) 5000 morti e 22000 feriti, ma accusano i cinesi di avere ucciso oltre 100 mila civili con bombardamenti di artiglieria indiscriminati. Secondo il Sipri, i cinesi avrebbero avuto 26 mila morti, i vietnamiti 50 mila comprese le milizie locali. Cifre più alte per Henry J. Kenny, che, in “Shadow of the Dragon, Vietnam’s continuing struggle with China and the Implications for U.S. Foreign policy”, p. 98, parla di 100 mila fra morti e feriti tra gli attaccanti cinesi, e 150-200 mila per i vietnamiti. Se queste cifre fossero confermate, si tratterebbe di un prezzo altissimo, per una guerra limitata, durata, fra l’altro, 27 giorni. Non vi sono dati sulle perdite di materiali, anche se diversi MIG nordvietnamiti furono abbattuti dalla tripla a cinese.

Soldati vietnamti durante una pausa dei combattimenti

Dal punto di vista tattico, la guerra fu, per i cinesi, un autentico disastro, al di là delle perdite effettive, dichiarate o stimate.

1)      Il PLA andò in battaglia usando tattiche ed equipaggiamenti della guerra di Corea, se non proprio della Lunga Marcia.

1) Per fare un esempio, solo gli ufficiali e pochi sottufficiali portavano fucili d’assalto, le truppe erano ancora dotate di antiquati fucili della Seconda Guerra Mondiale (i regolari nordvietnamiti avevano come arma standard l’AK47); i cinesi inoltre rinunciarono a impiegare le loro forze aeree e navali sia per il supporto tattico che per quello logistico. Le ragioni di questa rinuncia non sono chiare, ma pesarono pesantemente sulle operazioni.



2)
     
Altro grosso problema furono i trasporti e la logistica, assolutamente inadeguata: si dice (ma non è mai stato confermato) che i ricognitori americani, nel corso della guerra, abbiano ripreso file interminabili di coolies impiegati a portare i rifornimenti alle truppe di prima linea. Qualunque sia la verità, rimane il fatto che le colonne motocorazzate cinesi ebbero continui problemi di approvvigionamento di carburante e munizioni, che solo parzialmente poté essere risolto col saccheggio delle risorse nelle aree conquistate. I vietnamiti, per contro, dimostrarono di avere messo a segno la lezione imparata combattendo gli americani, e arrivarono perfino a utilizzare proficuamente gli elicotteri catturati al Sud nel 1975 per rifornire le proprie truppe in prima linea oltre che per evacuare i feriti, e, pare, per il supporto a fuoco.

3)      Le trasmissioni, sia a livello tattico che di comando divisionale, furono assolutamente inadeguate: i sistemi di trasmissione erano pochi, mal distribuiti e spesso risultarono non funzionanti per problemi di manutenzione. Si ricorse così a portaordini che, spesso, viaggiavano in bicicletta.

4)      La catena di comando risultò essere troppo complessa e burocratizzata; in più, la tipica struttura comunista scoraggiava qualsiasi iniziativa personale sul campo, occorrevano ore per avere l’appoggio dell’artiglieria nel settore e nel modo desiderato. Da notare che, all’epoca, la Cina era, assieme all’Albania, l’unico Paese al mondo nelle cui forze armate non esistevano gradi.

5)      Le mappe distribuite alle truppe erano vecchie, in alcuni casi pare risalissero all’inizio del secolo, piene di imprecisioni, non era disponibile ricognizione aerea e nemmeno FACs.

6)      Il materiale in dotazione, prodotto da industrie cinesi, risultò di scarsissima qualità.


7)   Infine, i cinesi si trovarono a fronteggiare un nemico bene armato, bene addestrato, con una catena di comando solida e provata, e, soprattutto, fiducioso nelle proprie capacità avendo combattuto con successo tre guerre in altrettante decadi.



Un MIG21 abbattuto dai cinesi. Nella foto piccola, in basso a destra, il pilota, catturato.

Dal punto di vista strategico la guerra può invece considerarsi vinta dalla Cina: essa impartì a Mosca ed Hanoi l’amara e sanguinosa lezione che Pechino era disposta a ricorrere anche a mezzi estremi per difendere i suoi interessi nell’area; il permanere di truppe cinesi, il rafforzamento del dispositivo militare che arrivò a contare nove armate ammassate lungo i confini del Vietnam, oltre alla trasformazione dell’isola di Hainan in una autentica fortezza piena di soldati, navi ed aerei da combattimento, costrinse il governo di Hanoi a dislocare una grossa parte delle sue forze armate nel settore minacciato, sottraendole al fronte cambogiano dove sarebbero state utili alla lotta contro la guerriglia, ponendo in ultima analisi una seria ipoteca sulla sconfitta dei vietnamiti.




Un CH47 vietnamita carica rifornimenti per le truppe al fronte

La Guerra ha lasciato un’eredità pesante, non solo distruggendo l’alone romantico che avvolgeva i Paesi comunisti agli occhi dei rivoluzionari da salotto europei, ma ebbe conseguenze geo-politiche ancora non molto ben delineate a distanza di trent’anni. Sicuramente, la constatazione di avere forze armate assolutamente inadatte a condurre operazioni militari contro un esercito moderno e determinato spinse Pechino a moderare i toni e l’aggressività nei confronti di Taiwan. In Vietnam oltre alle perdite umane, si dovette lamentare la terra bruciata fatta dai cinesi in ritirata: il PLA distrusse sistematicamente i villaggi, le strade, i ponti, le infrastrutture di ogni genere, perfino le risaie e gli altri campi coltivati, prima di riattraversare il confine.



Le distruzioni della guerra

I vietnamiti aumentarono le pressioni sui cinesi etnici, che alla fine migrarono in massa dando luogo al fenomeno dei “boat people”: oggi, la maggior parte di quei profughi vive, generalmente bene integrata, in Australia, Stati Uniti, Canada e nei Paesi dell’Europa settentrionale. Pochi scelsero di andare in Cina, anche se, in anni recenti, alcuni hanno fatto ritorno attratti dalle possibilità economiche.





Scambio di prigionieri

Hanoi chiese scuse ufficiali alla Cina per anni, senza mai ricevere risposta. Dopo la normalizzazione delle relazioni fra i due Paesi, avvenuta in seguito alla repressione cinese di Tian An-men (fortemente appoggiata dal governo vietnamita), la richiesta è stata lasciata cadere nel dimenticatoio.

Nel Dicembre 2007, l’annuncio della costruzione di un’autostrada e di una ferrovia per unire Hanoi a Kumming e la creazione di una zona economica comune, sembra avere messo fine alla rivalità.



Il monumento vietnamita ai caduti della guerra con la Cina

E l’URSS? Mosca non uscì bene dalla guerra, nonostante le sue roboanti dichiarazioni di appoggio al fratello e amico popolo vietnamita barbaramente aggredito dall’imperialismo cinese, tutto quello che fece il Cremlino nei giorni dei combattimenti, fu di attivare un ponte aereo coi grossi An-22 Antei del 566° Reggimento di Trasporto Aereo (Солнечногорск, dal nome della città vicino Mosca sede del reparto), gli unici in grado di volare senza scalo e senza rifornimento aereo attraverso la tortuosa rotta che li costringeva ad evitare lo spazio aereo cinese,  per rifornire gli alleati. Si disse la prudenza sovietica fosse stata dettata dalla consapevolezza di avere un certo numero di ICBMs cinesi puntati sulle proprie città, ma è forse più probabile che abbia prevalso anche in seno alla sciagurata dirigenza degli ultimi anni di Brezhnev la volontà di non provocare un conflitto mondiale dalle conseguenze, oltre che dai risultati, imponderabili.




BIBLIOGRAFIA:

 

Kenny, Henry, “Shadow of the Dragon, Vietnam’s continuing struggle with China and the Implications for U.S. Foreign policy,” Washington D.C: Brassey’s, Inc., 2002,

Dunnigan, J.F. & Nofi, A.A. (1999). Dirty Little Secrets of the Vietnam War. New York: St. Martins Press

Clodfelter, Michael. Vietnam in Military Statistics: A History of the Indochina Wars, 1772–1991 McFarland & Co., Jefferson, NC, 1995



 

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